SECONDA DI QUARESIMA

q2La II^ domenica di Quaresima ci presenta una scena che, a prima impressione sembra contrastare con il cammino di purificazione e di conversione, proprio di questo periodo liturgico. Invece, in approfondimento, ci permette di gustare a fondo il significato della quaresima, proiettata verso la Pasqua.

Ebbene, prima di entrare nella semplicità e nella bellezza del racconto, visto quale preludio della Risurrezione, è opportuno considerare che il suo contesto in tutti e tre gli evangelisti: Matteo, Marco e Luca, è preceduto dall’annunzio che Gesù fa della Sua passione e morte. Un annunzio che crea scandalo e sconforto negli apostoli, che, come tutti i giudei, vedevano in Gesù il Messia del trionfo politico. Se grande fu la delusione degli apostoli, i quali sperimentano la caduta delle attese messianiche, più grande fu la preoccupazione di Gesù, nel prepararli ad aver fede in Lui, il quale non sarà solo il disprezzato, lo sconfitto, ma anche il Figlio prediletto, Colui, cioè, che vincerà il male e la morte. E questa preparazione Gesù la compie attraverso l’esperienza del silenzio e della preghiera, che offrono l’orizzonte spirituale più adeguato, in cui può maturare e svilupparsi la conoscenza del mistero, può delinearsi la manifestazione della Sua divinità:”Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il Suo volto cambiò d’aspetto e la Sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con Lui: “erano Mosè ed Elia……parlavano della Sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme”.

Al di là di tutti gli ingredienti narrativi che evidenziano, in maniera solenne, la rivelazione della divinità che avvolge Cristo, verso il quale convergono i profeti e la legge dell’Antico Testamento, rappresentati da Elia e Mosè, è necessario sottolineare l’insistenza del verbo “pregare”, che vuole indicarci che solo la preghiera, intensa e profonda, trasfigura la persona di Gesù. Una trasformazione che ci riguarda direttamente, nella misura in cui la nostra preghiera è altrettanto profonda ed intensa. E’ nella preghiera che noi sviluppiamo il dialogo con Gesù, fino ad entrare nella sua familiarità:”rimanete in me ed io in voi” (Gv,15,4). Una reciprocità che ci apre, attraverso di Lui ed in Lui, alla contemplazione del volto del Padre. Il cristiano che intraprende il cammino quaresimale, non può non sapere che tutte le possibilità di trasfigurazione della sua vita, diventano reali solo alla luce della preghiera.

Pertanto, ricorrere alla preghiera nei momenti di crisi e di sofferenza, oppure quando l’impatto con il futuro si riveste di pesantezze, non è un fuggire dalla consapevolezza della realtà, ma è fiducia incondizionata in Dio, al quale apriamo il nostro cuore in un dialogo personale, che diventa non solo implorazione di aiuto, ma anche rendimento di grazie, lode, adorazione, contemplazione, ascolto, fino ad un vero invaghimento del cuore:”tu mi hai sedotto, o Signore – dice il profeta – ed io mi sono lasciato sedurre”. In altre parole, pregando, noi sperimentiamo di essere veramente nel cuore di Dio, vibranti al tocco del Suo Spirito, filialmente abbandonati al Suo amore di Padre.  Solo pregando, possiamo cogliere il Suo mistero e testimoniarlo agli altri; possiamo gustare la gioia della nostra identità filiale ed aprirci agli orizzonti della solidarietà, della carità e della giustizia. Il che significa che chi prega non può chiudersi nella tenda della contemplazione, disincantato dal mondo, quasi fermo sul versante del proprio egoismo. Il Tabor, che ci trasfigura, deve confrontarsi con la notte della sofferenza quotidiana, con la visione umana, che ci circonda, con le povertà antiche e moderne, che ci assillano. Una preghiera che non diventi esperienza personale, che non si eserciti e non si viva è puro concettualismo, che affievolisce la fede, con il rischio di renderci cristiani mediocri. Una preghiera che non ci metta contemporaneamente nella condizione di assaporare la tenerezza di Dio e mostrarla agli altri; di scoprire il Suo volto nei nostri fratelli, non è vera preghiera. E’ solo il fascino di un surrogato, incapace di riempire la nostra vita. Eppure, oggi più che mai, smarriti come siamo, sospesi a mille luci di interessi, sempre in cerca di novità che ci portano a falsi innamoramenti religiosi, abbiamo bisogno non tanto di parlare di Dio, ma di parlare in Dio, cioè pregare con quella fede vera, che parte dalla Sua contemplazione e discende sul versante della nostra vita, trasfigurandoci come uomini e come cristiani.

 

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