Il mio è un intervento intessuto di considerazioni, generate essenzialmente dalla visione di una realtà, la nostra, dove quasi tutto si misura sull’avere e poco o nulla sul rispetto dell’essere e,quindi, della dignità della persona. Sembra ascoltare il grido inquietante di Fromm,quando dice:”l’uomo è morto,viva la cosa”,soprattutto la cosa che produce ricchezza,consumismo,indipendentemente dalla realizzazione di chi la produce e dall’integrazione del lavoro nella costruzione di una sana vita personale e relazionale.
Non si può negare che oggi molti dimenticano o banalizzano la priorità dell’uomo, la dignità e la finalità del lavoro, sacrificate spesso sull’altare di una dinamica di mercato e di produzione, interpretata come indipendente dallo stesso soggetto del lavoro. Purtroppo c’è più attenzione al significato oggettivo del lavoro che a quello soggettivo, trascurando così che l’uomo,come persona, è il vero soggetto del lavoro. Pertanto,qualunque sia l’oggetto della sua attività, essa deve mirare alla realizzazione della propria umanità. Ed è proprio questa dimensione soggettiva, personale del lavoro che fonda la sua stessa sostanza etica. Il che significa che il lavoro si misura con il metro della dignità dell’uomo che lo realizza: il valore vero è il soggetto che opera,non tanto le cose che egli realizza o la realtà che domina. Considerare il lavoro come una merce sui generis, una forza anonima del processo di produzione e trattare l’uomo come uno strumento e non come soggetto e, quindi, come vero scopo di tutto il processo produttivo, significa negare la stessa grandezza e dignità dell’uomo e vederlo solo come parte di un meccanismo socioeconomico. Nessuno uomo deve essere stimato un mezzo per i fini di un altro né deve essere usato per fini che non siano quelli del suo sviluppo umano integrale. Il che comporta che una azienda, una impresa non deve guardare solo il risultato finale, vedendo il soggetto del lavoro come un semplice fornitore, in grado di erogare una prestazione, ma deve saper organizzare un contesto di reciproche responsabilità, dove il lavoro viene visto sia come un bene,che offre possibilità di sostentamento ed opportunità di crescita umana,spirituale e professionale; sia come dono di sé,di servizio per il bene comune, di apertura verso gli altri,di altruismo. Naturalmente questo contesto di corresponsabilità, che dovrebbe vedere coinvolti lavoratori ed imprenditori,esige per i primi passione per il proprio lavoro e professionalità; per i secondi, l’impegno a migliorare la qualità del contesto umano ed organizzativo in cui si lavora, in modo che ognuno possa dare il meglio di sé. Guidati da tali obiettivi,entrambi non si esauriscono ad avere“il più”, quanto piuttosto ad essere “di più”.
Pertanto, se negli uni o negli altri vengono a mancare queste tensioni etiche, che creano corrette relazioni, certamente funzionali allo svolgimento delle attività produttive, facilmente si scivola in un andirivieni di interessi particolari, che sviliscono non solo il lavoro in sé e l’interpersonalità tra i suoi soggetti, ma anche lo stesso interesse aziendale, generando confusione e reciproca volontà di tutelare non il bene dell’azienda o dell’impresa, ma solo il proprio immediato e momentaneo “particolare”, per il cui raggiungimento si adoperano tutti i mezzi, spesso anche illeciti. Invece, in una dinamica di attente responsabilità, animate da un reciproco spirito di servizio e di cooperazione per il bene comune,che stanno alla base di una autentica umanizzazione della vita economica, si creano e si delineano prospettive di collaborazione nell’interesse delle rispettive dignità dei soggetti del lavoro:lavoratori ed imprenditori, e della stessa azienda od impresa, che viene a configurarsi non più come un “quid” impersonale, in cui calare semplicemente le proprie pretese, ma come un “quid” personalizzato e familiare, nel quale tutti si ritrovano come protagonisti e non più come comparse di cui servirsi. Se il lavoro viene così interpretato ed i rapporti tra i suoi soggetti così vissuti, allora tutto diventa semplice e sopportabile; persino le normative giuridiche che si rincorrono sulla sicurezza delle attività lavorative non saranno stimate come pesi da evitare, ma come “doni” da applicare, per la comune salvaguardia.
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