Seconda Domenica di Quaresima

 

  trasf La seconda domenica di Quaresima, ogni anno, è segnata dalla trasfigurazione: una scena di gloria e di luce messianica, posta all’inizio del tempo quaresimale, tempo austero e meditativo, quasi a volerci dire che lo sbocco finale dell’esistenza di Cristo non è la morte, ma la gloria della risurrezione. Tale evento si verifica, secondo la tradizione cristiana,  sul monte Tabor. Qui Gesù si rivela come Figlio di Dio, in un contesto di mistero e di trascendenza: il suo volto diventa luminoso come il sole e le sue vesti candide come la luce. A differenza di Marco e Luca, l’evangelista Matteo sottolinea che Gesù trasfigurato è il nuovo Mosè, che incontra Dio in un nuovo Sinai, il Tabor. Però con questa differenza, che rende bene la novità di Gesù e la sua superiorità rispetto a Mosè: sul Sinai, Mosè riceve la Legge, fondamento dell’Antico Testamento; sul Tabor, Gesù, nuovo Mosè, è presentato come Figlio prediletto del Padre:”ed ecco una voce che diceva:”Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo”. Al di là della rivelazione del mistero trinitario di Dio, che troviamo nella scena della trasfigurazione, importante è la raccomandazione che il Padre rivolge ai discepoli di Gesù:” Ascoltatelo”. Ascoltare non per allargare semplicemente il campo delle conoscenze, ma per prendere coscienza della propria sequela. Non per chiudersi definitivamente nella tenda della contemplazione nel disincanto del vissuto quotidiano, ma per ridiscendere nella pianura della vita, dove difficoltà, desideri, progetti, speranze e delusioni si rincorrono in una qualificata e qualificante tensione di maturazione umana e cristiana. Ascoltare per rivivere e ripresentare nella vita il mistero di Cristo: mistero di umiliazione e di gloria, di sofferenza fino alla morte e di risurrezione. L’ascolto vero si traduce sempre nella capacità di accettare Cristo, seguendo la sua Persona sino alla fine. E’ un innamoramento che cambia cuore e mente, fino a renderLo unico punto di riferimento della vita. Ma la scena della trasfigurazione non si ferma all’estasi dei discepoli, che l’apostolo Pietro con spontaneità vorrebbe prolungare per sempre:”Signore – dice – è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per Te, una per Mosè ed una per Elia”. Essa si arricchisce di ulteriori connotazioni che ci permettono di leggere una anticipazione del mistero pasquale. E che la trasfigurazione ci proietta già nella prospettiva della Croce, e, quindi, verso la passione si ricava anche dalle parole che Gesù rivolge a Pietro, Giacomo e Giovanni, “mentre discendevano dal Monte”:”non parlate a nessuno di questa visione –raccomanda – finchè il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti”.

A tale proposito, non bisogna dimenticare che l’episodio della trasfigurazione è collocato tra due annunci espliciti della passione, quasi a voler significare che al di là della passione esiste per Gesù un futuro di gloria; lo stesso futuro che offre ai discepoli, quando dice loro:” se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.

Ci troviamo così al cospetto di un messaggio forte di fede pasquale, mediante il quale, ai discepoli di ieri e di oggi, Gesù indica che solo “attraverso la passione possono giungere al trionfo della risurrezione”. Ma in tutte e tre le letture bibliche troviamo un filo conduttore molto chiaro, quello della vocazione e la sofferenza che ogni sequela porta con sé. Infatti, nella prima lettura, tratta dal libro della Genesi, è descritta la vocazione di Abramo, primo credente in Dio:”vattene dal tuo paese – gli dice il Signore – dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò”. Quello di Abramo è un esempio riuscito di risposta generosa alla chiamata di Dio. Egli ascolta la Sua parola, lascia tutto, mettendosi in cammino verso l’ignoto alla ricerca della terra promessa. La sua grandezza non sta solo nella capacità di sradicamento e di distacco dal proprio vissuto con cose e persone, ma soprattutto nell’accettazione di un nuovo progetto di vita ideato dalla stessa sapienza di Dio:”Abramo partì, come gli aveva ordinato il Signore”. Egli rischia sulla parola di Dio. Crede alla voce misteriosa che gli promette molto di più di quello che gli chiede; intraprende un cammino incerto; ha coraggio. Convinto, corre il rischio della fede. Del resto, la fede è un continuo rischiare noi stessi, la nostra vita, affidandoci al Signore. Proprio in forza di tale fede, Abramo diventa padre di tutti i credenti. E proprio questo rischiare la vita sulla parola di Dio costituisce la vera ricchezza della Chiesa: ”carissimo – dice San Paolo nella seconda lettura presa dalla lettera a Timoteo – soffri anche tu insieme a me per il Vangelo”. La perseveranza nel bene, affrontando difficoltà e sofferenza per il Vangelo, è la risposta più autentica alla chiamata di Dio. Risposta che sarà tanto riconoscente quanto salda è la fede in Lui. Nella liturgia della parola odierna è soffuso un messaggio di speranza incrollabile: la trasfigurazione non è un sogno impossibile, ma realizzabile per ogni cristiano, chiamato alla fede. Infatti, noi cristiani siamo destinatari di una vocazione speciale: la vocazione alla santità. Una santità che conquistiamo non costruendo la nostra tenda sul monte della contemplazione, ma come Gesù, stando in mezzo agli altri; vivendo come Lui la difficile via della Croce, strada obbligata e senza alternativa per la meta finale: la nostra risurrezione.

 

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