V DOMENICA DI QUARESIMA

res

La quaresima non è un tempo a sé stante, chiuso in se stesso. Sin dall’inizio sia pure attraverso esperienze di sofferenza e di mortificazione, rivela la sua tensione verso il traguardo della risurrezione pasquale. In queste ultime due domeniche abbiamo vissuto una progressiva rivelazione di Gesù. Abbiamo insieme meditato il suo mistero, che, nell’incontro con la Samaritana, si manifesta come “acqua” che disseta il nostro bisogno di infinito; nell’episodio della guarigione del cieco nato, come “luce” che rischiara le nostre tenebre; infine, nella liturgia della parola di questa v^ domenica, si presenta come Colui che possiede la “vita” e dona la “vita”. Ma prima di affrontare il racconto della risurrezione di Lazzaro, che rappresenta uno dei capitoli più toccanti del Vangelo di San Giovanni sia per lo spessore teologico che per la carica di umanità di Gesù, è opportuno considerare la prima lettura tratta dal libro di Ezechiele, nella quale il profeta annunzia per gli Ebrei deportati in esilio a Babilonia, il ritorno il patria attraverso l’immagine delle ossa aride, le quali acquistano la vita per l’azione dello Spirito: “Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe……Farò entrare in voi il mio Spirito e vivrete”. Naturalmente ci troviamo davanti all’annuncio della restaurazione collettiva di Israele, presentata da Ezechiele con una forte visione, quella delle tombe che si aprono, che certamente fa intravedere anche una risurrezione di Cristo, di cui questa di Lazzaro, oggi, è un segno di anticipazione.

Nella seconda lettura, tratta dalla lettera ai Romani, troviamo, in un certo qual modo, realizzato quanto profetato da Ezechiele. In essa San Paolo ci esorta a vivere non secondo la carne, ma secondo lo Spirito; lo Spirito di Dio che già abita in noi, a motivo del battesimo e della fede in Cristo, e che è la garanzia della nostra futura risurrezione. A questo punto, approdiamo al celebre episodio della risurrezione di Lazzaro, di cui, data l’ampia narrazione, mettiamo in luce soltanto alcuni aspetti fondamentali importanti.

Primo, la risposta di Gesù alla notizia di Lazzaro ammalato :”questa malattia – dice – non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato”. Una affermazione che non vuole significare disinteresse di Gesù per l’amico o dire che Lazzaro non morirà, ma soltanto far comprendere ai suoi discepoli che la morte non va drammatizzata; anzi, spesso anche le realtà che, a primo impatto, sembrano negative, possono diventare occasioni per glorificare Dio. E Lazzaro che muore e risorge manifesta sì la potenza di Dio, ma è anche preludio a ciò che accadrà, tra non molto, allo stesso Gesù: così la risurrezione di Lazzaro diventa profezia della risurrezione di Cristo.

Secondo aspetto, e, quindi, secondo centro di attenzione è la ricchezza di emozioni nel dialogo tra Gesù e Marta. Quest’ultima, da una parte, sembra quasi rimproverarLo per il ritardo: “se Tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”. Dall’altra, esprime la speranza che a Lui nulla è impossibile: “ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, Egli te la concederà”. Nello stesso tempo, nel dialogo troviamo una delle affermazioni più solenni di Gesù contenute nel IV° Vangelo: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno”. Egli è la risurrezione non solo perché risuscita Lazzaro e, quindi, è portatore di un messaggio di speranza circa la vita futura, ma soprattutto perché, risuscitando se stesso, diventa fonte di risurrezione per tutti. Ed è proprio per questo motivo che invita subito Marta alla fede: “credi tu questo?”. Gli rispose: “Sì, o Signore, io credo che Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo”. Pertanto, è la fede in Gesù che ci apre alla vita eterna, facendocela gustare già qui, sin da ora, senza dover attendere l’ultimo giorno, come pensava Marta.

Un altro aspetto dell’intensità del racconto è il pianto di Gesù, turbato e rattristato davanti alla morte di Lazzaro e al dolore delle sorelle. E’ il trionfo della umanità di Gesù, che, pur essendo Figlio di Dio, si rivela capace di un’amicizia profondamente umana. Piange per l’amico Lazzaro vinto dalla morte. Solidarizza con il dolore, ma non con la disperazione. Piange, perché grande è l’amore per l’amico morto. In Gesù, è Dio che si china per amore sulla sofferenza e la morte dell’uomo. In Gesù troviamo l’unica risposta valida al mistero della morte e della sofferenza, che non vanno intese come espressioni di una vita destinata al nulla, ma come passaggio vissuto, porta di ingresso verso la definitiva  liberazione con Lui risorto. In Gesù la morte, che pure segna il limite invalicabile delle speranze e delle certezze, non è l’ultima parola; non è la fine della strada; ma è un varcare la soglia della speranza, per camminare alla vita nuova. In Gesù la morte diventa diversa: è trasformata, è aperta all’infinito, all’eterno:” le anime dei giusti sono nelle mani di Dio……sono nella pace – leggiamo nel libro della Sapienza – la loro speranza è piena di immortalità”. In altre parole, in Gesù la morte diventa vita. E proclamandosi come “la risurrezione” e “la vita”, Egli si presenta come datore di vita non solo nel presente che viviamo, ma anche nel futuro che ci attende. Nello stesso tempo, di fronte al dramma della sofferenza e della morte, non ci impedisce di gridare a Dio, anzi ci invita ad elevare a Lui il nostro grido di dolore, sicuri che solo mediante la fede in Lui, possiamo vivere e testimoniare la vittoria della luce sulle tenebre, il trionfo della vita sulla morte.

Lascia un commento

Devi autenticarti per lasciare un commento