Categoria: Fede

Venerdi Santo Via Crucis

via crucis

sepolIn un contesto  di profonda  meditazione, avvolto da un silenzio  penetrante, è  stata celebrata la Via Crucis, durante la quale  tutti hanno ripercorso la vera storia di Gesù, che  alla cattiveria dell’ uomo  risponde con la parola della Croce.

Una parola che è  amore, misericordia, perdono.

Nell’ascolto delle 14 stazioni, segnate da immagini  di forte intensità, ognuno  ha cercato nel  dramma di Cristo il suo ruolo: protagonista, comparsa o semplice servo, tutti  hanno sentito di aver contribuito alla tragedia dell’Amore, che si sacrifica per l’ umanità.

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Giovedì Santo: ore 19,00

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Oggi inizia il Triduo pasquale.

Oggi Giovedì Santo ore 19,00

In questo giorno si celebra l’ istituzione dell’ eucaristia fatta da Gesù durante la cena di commiato, alla vigilia della  passione.
E’ il suo testamento d’ amore, a cui vanno collegati altri aspetti fondamentali, quali l’ amore fraterno e il sacerdozio ministeriale.
Solo l’ evangelista Giovanni non racconta tale istituzione nell’ ultima cena.
Al suo posto e come preludio al congedo, pone la lavanda dei piedi, un gesto certamente legato all’ eucaristia, essendo anch’ esso segno dell’ amore e della donazione di Gesù.
Infatti, quello di Gesù non è  un gesto di circostanza, ma di servizio incondizionato in linea con l’ umiliazione e l’ abbassamento; è  un gesto che riassume tutta la sua vita, vissuta sull’ amore per il Padre e per l’ uomo.
Proprio per questi due gesti, eucaristia e lavanda dei piedi, Egli chiede continuità ai suoi discepoli:”… come ho fatto io, fate anche voi”; “Fate questo in memoria di me”.
Questo amore di Gesù non si limita solo alle parole e neanche ai segni: eucaristia e lavanda dei piedi, ma va oltre.
Egli passa all’ azione.
Ed è  proprio a partire da questi esempi personali di donazione,  che culminerà nella passione e morte, che acquista forza la sua parola e lo stesso invito a seguirlo.
Pertanto, nessun discepolo di Cristo può celebrare il giovedì santo senza amore fraterno.

Invece, è  sempre e dovunque giovedì santo ogni volta che un discepolo di Cristo ama suo fratello, ascolta e vive il suo grido di aiuto, è solidale con lui, gli apre il cuore con gesti concreti di sostegno e di riconciliazione.
Purtroppo, ogni giorno la vita pone costantemente ad ognuno la stessa alternativa: o donare se stesso per l’ altro, come ha fatto Gesù; o vendere l’ altro, in una ragnatela di interessi, come Giuda.

Il vero cristiano non può non seguire la strada di Cristo, osservando il mandato dell’ amore fraterno attraverso il servizio al fratello e l’ oblio di se stesso.

A MARGHERITA HAK

stellare

Amica di tante stelle,mai volle cercare né

conoscere la sua Stella;volò anche in alto

posandosi come fata sulle luci più lontane

ma non scorse la Stella madre,che le fissò

al cielo,per schiarire di notte l’oscurità

Penetrò il visibile celeste,bello intarsio

di mistero che apriva con le chiavi dorate

della sua scienza,ma non tentò di guardare

oltre se stessa,convinta d’essere un atomo

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Il fascino di Maria

 

Tu credi di vivere senza Dio

ma Dio non vive senza te:Lui

non smette di cercarti,anche

se l’abisso del peccato apre

il sipario delle tue tenebre

Anzi,proprio quando avanzano

per soffocarti nell’oscurità

Lui ti mostra strade di luce

segni di benevolenza,d’amore

che segnano rotte di ritorno

Sì,perchè diversamente da te

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QUARTA DOMENICA T.O. ANNO C

quarta Lo sfondo sotteso al brano evangelico di Luca è quello della sinagoga di Nazaret, ove Gesù attribuisce alla sua persona il passo del profeta Isaia, quello cioè, di “annunziare ai poveri un lieto messaggio, proclamare ai prigionieri la liberazione ed ai ciechi la vista, rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore”.  In altre parole, Gesù, rivendica per sé una missione profetica, una missione di salvezza e di liberazione. Egli proclama di essere l’inviato di Dio, il salvatore dell’umanità. Affermazioni provocatorie, pronunciate davanti ad un uditorio, che, benché stupito “delle parole di grazia che uscivano dalla bocca di Gesù”, è fortemente prevenuto nei suoi riguardi:”Non è Costui il Figlio di Giuseppe?”. Un interrogativo carico di ostilità, che nasce nella mente dei presenti, i quali, chiusi ad ogni tentativo di scalfire il mistero,  di andare, cioè, al di là di ciò che vedono, non riescono a conciliare le umili origini di Gesù con la sua dichiarata pretesa di essere colui nel quale “oggi si è adempiuta la Scrittura”.

Pertanto, non solo non sanno cogliere il mistero, che nell’agire di Gesù certamente si rivela; non solo ostentano indisponibilità a credere, ma ancora una volta cercano nella straordinarietà un dio a proprio piacimento:”quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, – dicono – nella tua patria!”.

C’è in essi una sorta di desiderio dello straordinario, del miracolo visto come manifestazione di stupore e non come motivo per credere e convertirsi. A tale concezione magica e taumaturgica Gesù si oppone senza mezzi termini: per Lui i miracoli non sono strumenti di successo o gesti propagandistici, ma espressione di amore, che compie liberamente dove vuole e per chi vuole. Del resto, non  c’è da meravigliarsi, soprattutto se si consideri che Dio, a causa della incredulità dei suoi, sceglie di compiere i prodigi, già nell’Antico Testamento, al di fuori della stessa Palestina. Così il profeta Elia si preoccupò di una vedova della regione fenicia, durante una terribile carestia, che aveva colpito anche la terra di Israele; ed il profeta Eliseo guarì dalla lebbra il generale Siro Naaman, quando in Israele molti ne erano afflitti. Per i cittadini di Nazaret, quello di Gesù è un linguaggio pesante. Per cui frustati ed incapaci di aprirsi alla fede ed alle sorprese divine; vogliosi di miracoli per loro uso e prestigio, in contrasto con i disegni di amore universale di Dio, gli diventano ostili, fino al tentativo di ucciderlo:”pieni di sdegno, si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte……, per gettarlo giù dal precipizio”. Purtroppo, quando la religione la si interpreta come un possesso personale e Dio come una realtà disponibile ai propri interessi, non c’è spazio per aprirsi alle esigenze sempre nuove ed imprevedibili di Dio. La vicenda di Nazaret, che riflette quella del profeta Geremia, narrata nella prima lettura, è un atto di accusa contro quelle forme di religiosità, a cui spesso ci attacchiamo, ma che appena vanno in crisi, rivelano il vero volto, quello della incredulità e dell’egoismo. Ma la parola di Dio non si spegne: dilata ed allarga i confini, per cui nuove vedove e nuovi lebbrosi alzano il capo ed aspettano lungo le strade il Signore che passa. A questo punto è opportuno domandarsi: noi ci lasciamo provocare dalle parole di Gesù, facendoci trasformare, o gli poniamo ipocrite condizioni come i cittadini di Nazaret? Parliamo contando sulla forza della verità e sull’aiuto che viene da Dio oppure restiamo prigionieri della nostra apparente religiosità?”.

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Mostrare le ragioni del credere

credibile

Riscoprire la bellezza della fede cristiana significa riandare continuamente al suo momento fontale che è l’incontro con il Signore Gesù nella Chiesa.

È dalla relazione intima con il suo Sposo che la Chiesa trova la forza per accettare la sfida della nuova evangelizzazione e per proporre continuamente la fede, dandone le ragioni, mostrandone il logos più profondo.

Ogni cristiano deve mostrare la ragionevolezza della propria fede, che egli ha scoperto come l’unica capace di illuminare realmente la propria esistenza. Deve mostrare le ragioni non sempre evidenti del proprio atto di fede, la ragionevolezza della Rivelazione di Dio in Cristo Gesù. Credere è bello, ma credere è anche ragionevole e la Rivelazione è affidabile; credere non è un atto illogico, irrazionale, non è sacrificio della ragione e dell’intelletto.

Dobbiamo testimoniare una “fede amica dell’intelligenza”. Questo significa essere adulti nella fede, cristiani capaci di mostrare la ragionevolezza del proprio credere, cristiani che non sono più – come dice Paolo nella Lettera agli Efesini – «fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina» (Ef 4, 14).

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Perchè annunci il Vangelo?

serQuando ci mettiamo in ascolto del Signore è come se si ridestasse in noi il bambino e/o la bambina che siamo stati un tempo e che, messo da parte l’imbarazzo, incalzano l’interlocutore con una serie di domande desiderosi soltanto che, i Suoi occhi non si separino mai dai nostri. In questo modo ci sentiamo investiti dalla possibilità di essere amati a dismisura da Colui che ci conosce meglio di quanto siamo disposti ad ammettere, ed è allora che avviene qualcosa di inspiegabile a parole: il ritmo del cuore è cadenzato da un’agitazione che dopotutto infonde una considerevole dose di entusiasmo, pungolati – come lo sono i più piccini – da un’inquietudine che non trova requie se non nella cauta e tranquillizzante risposta che riceveremo. Ognuno a suo modo può sperimentare questa cosa, a me è successo in un momento in cui il cuore ha sentito l’impellente necessità di restare per un po’ in silenzio, il luogo abitato per eccellenza dal Signore, e da quel preciso istante sono stata testimone di una conversazione all’insegna della tenerezza, che stava avendo luogo tra una bambina e suo padre. Notai subito la vivacità negli occhi della bambina, in particolare quando pronunciò queste parole:«Papà, secondo me, la figura del sacerdote non si discosta tanto da te, soprattutto se mi vede triste e cerca di calmarmi, oppure quando sa come fare per farmi ritornare il sorriso…Solo che tu hai la mamma, lui chi ha per consolarlo quando si sente triste?». – Ha tutti noi che siamo chiamati ad essere non solo a parole, ma anche con le buone azioni la sua famiglia lungo il cammino della fede!- rispose il padre. «Il punto quindi è questo: perché se sbaglio, se ho paura lui mi dimostra le stesse attenzioni che mi riservi tu, papà?» – È vero, tu non sei sua figlia ma sua sorella e, lui è tuo fratello, perciò non ti fa mancare la sua benevolenza! Dimmi la verità: perché vuoi annunciare il Vangelo?- E lei senza pensarci più di tanto:«Perché è la mia missione…Sento di essere nata per questo…È un dono che ho dentro! Grazie a te ho capito che, se voglio essere felice nella vita non devo più trascurarlo…Adesso so cosa devo fare…C’è ancora tanto da imparare, ma di questo non mi preoccupo se sto’ con te! Di me puoi fidarti, puoi svelare il tuo segreto, tu sei più del mio papà: sei Dio!!! L’ho capito dal modo in cui mi hai rivolto la parola, la tua voce è familiare melodia per la mia anima. Ti prego, tienimi vicino al Tuo cuore perché ti cercherò lì quando nessuno potrà capirmi…Tu non ti stanchi mai di me!».
A cura di Teresa Perillo

 

Epifania

epi

 

 

Epifania è una parola greca che significa manifestazione: manifestazione non di qualcosa, ma di Qualcuno; e, precisamente, manifestazione  di Gesù come Figlio di Dio e Salvatore al cospetto del mondo intero.Le tre letture bibliche, con perfetta sintonia, evidenziano questo afflato universale di salvezza, manifestatasi agli uomini attraverso Cristo. Il quale non è venuto soltanto per Israele, ma per tutti.Cariche di significato sono le parole del salmo 71:”Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra”. Una visione universale del progetto salvifico di Dio che il profeta Isaia, nella prima lettura, esprime in maniera veramente stupenda.Egli descrive la gloria di Dio che risplende su Gerusalemme, la quale diventerà richiamo per tutti i popoli della terra. E lo fa con un linguaggio ricco di imperativi:”Alzati e rivestiti di luce……Alza gli occhi intorno e guarda”. Imperativi che compendiano un accorato invito agli Israeliti ad uscire dalla rassegnazione della sconfitta, a superare gli angusti spazi dei propri pensieri, per ammirare la grande luce, che brilla su Gerusalemme, verso la quale andranno uomini e donne di ogni lingua e nazione. E tutti saranno attratti dallo splendore di questa luce sia gli Israeliti che le nazioni straniere: entrambi accomunati in uno stesso cammino e diretti verso la città santa, la quale, più che risplendere di luce propria, brilla della luce che le viene da Dio.Ci troviamo davanti ad un contesto di vero universalismo salvifico, nel quale si contempla non un’umanità contrapposta, ma unita, senza distinzioni, chiamata alla luce.

Questo tema della salvezza universale  è ben sottolineato nella seconda lettura, tratta dalla Lettera agli Efesini, nella quale Paolo proclama che il mistero di Dio, tenuto nascosto ed ora svelato, è il progetto di riunire in una sola famiglia, la nuova Gerusalemme che è la Chiesa, tutta l’umanità, essendo tutti, indistintamente, stati “chiamati in Cristo a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo”. La luce che unifica le membra di questo corpo è Cristo; il segno e lo strumento di tale riunificazione è la Chiesa, la quale, come comunità dei credenti, che si è lasciata invadere dalla luce, deve diventare annunzio gioioso del Cristo, centro di irradiazione di salvezza per tutti.

E qui  entriamo nel cuore del brano evangelico, nel quale il rincorrersi degli avvenimenti si arricchisce di profondi significati religiosi.Ebbene, la dimensione universale e missionaria della Chiesa, intrinseca alla venuta di Cristo fra di noi, è ben rappresentata dai Magi, la cui presenza costituisce un evento importante nella storia della salvezza, la quale con essi ,venuti da lontano, si dilata, coinvolgendo tutta l’umanità. Al di là del mistero che avvolge la loro identità personale, il luogo di provenienza e lo stesso numero, ciò che colpisce nel racconto dei Magi è il loro cammino di fede che, sotto la guida della stella, li conduce all’incontro con Cristo, luce delle genti.Quello dei Magi è un lungo e faticoso pellegrinare da Oriente ad Occidente fino all’ultimo traguardo: l’adorazione del Bambino Gesù, riconosciuto quale Messia e Salvatore universale.Purtroppo tale cammino si scontra con la incredulità di Erode e della città di Gerusalemme,che alla notizia della nascita del “Re dei Giudei”, cadono in un profondo turbamento.E qui l’evangelista Matteo ci permette di cogliere alcuni  tratti caratteristici della fisionomia di Cristo, il quale è sì un Dio venuto in mezzo a noi, ma la Sua persona è racchiusa in un contesto drammatico di contraddizione. Infatti, sulla sua strada non troviamo solo chi Lo cerca per adorarLo, come i Magi, ma anche chi Lo cerca per ucciderLo, come Erode.

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Maternità divina di Maria e Giornata della pace

All’inizio del nuovo anno siamo invitati a celebrare il mistero di Maria SS. Madre di Dio e la giornata mondiale della pace, voluta, sin dal 1968, dal Santo Padre Paolo VI°. Due circostanze liturgiche che si coinvolgono in maniera intensa e profonda, essendo la pace sbocciata proprio nel seno verginale di Maria: da Lei, infatti, è venuto a noi Cristo, il principe della pace.

Relativamente alla maternità divina, puntualizziamo che Maria è la Madre del Figlio secondo la natura umana. Non è madre del Dio unico in tre persone, ma è la Madre del Figlio, Gesù, che è Dio. Questa maternità rispetto al solo Figlio è la ragione sufficiente e completa perché Maria venga chiamata Madre di Dio.

Lei partecipa in silenzio e stupore al mistero di questo figlio, nato da Dio e che non riceve solo per sé, ma per l’intera umanità. Del resto, non c’è maternità che non sia anche un dono per gli altri.

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QUARTA DOMENICA DI AVVENTO

   4 Le letture bibliche di questa IV^ domenica di avvento hanno lo scopo di guidarci ad un’attenta riflessione sul mistero di Cristo. Un mistero che, progettato da sempre per la nostra salvezza, viene rivelato nella pienezza dei tempi agli uomini. Giovanni nel suo vangelo scrive:”Dio, nessuno l’ha mai visto, ma il Figlio Unigenito che è nel seno del Padre, Lui ce lo ha rivelato”. Gesù, venendo in mezzo a noi, ha reso visibile il volto di Dio. “E il Verbo si fece carne e pose la sua tenda in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità”.     Il Verbo e la carne, la gloria divina e la sua tenda in mezzo a noi, configurano la vera identità divino – umana di Cristo. Il quale è veramente l’Emmanuele, il Dio con noi, il Dio che si è fatto umano, il Dio che si è reso incontrabile. Nell’ultima Cena, l’apostolo Filippo si rivolge a Gesù, dicendogli:”Signore, tu parli spesso del Padre. Mostraci il Padre e ci basta”. E Gesù gli rispose:”Filippo da tanto tempo io sono con voi e voi non mi avete ancora conosciuto? Filippo, chi vede me, vede il Padre”. Con tale risposta veniamo introdotti nella “zona-limite” del mistero, rappresentata dall’autocoscienza di Cristo, nella quale Egli non ha alcun dubbio:”Il Padre è in me ed io nel Padre”. L’essenza del Cristianesimo è riconoscere in Gesù il volto del Padre. Pertanto, il mistero del Natale non deve fermarsi alla semplice contemplazione di Cristo, nostro fratello e salvatore, ma deve aprirsi alla scoperta e all’adorazione del Padre. E questo “mistero taciuto per secoli eterni” non viene svelato all’improvviso, ma è portato avanti con i segnali lungimiranti delle profezie. Nella prima lettura, ripresa dal secondo libro di Samuele, leggiamo la profezia di Natan, riguardante Davide, che, durante il suo regno, vorrebbe erigere un grandioso tempio al Signore in Gerusalemme. Ma prima di iniziare la costruzione, si confida con il Profeta, il quale, dopo aver pregato, gli dice che non sarà lui a fare un tempio al Signore; non sarà lui a fare una casa al Signore, ma il Signore farà per lui una casa, farà per lui una discendenza per sempre. Così il profeta Natan respinge l’idea di Davide della costruzione di un tempio di pietre; però gli assicura discendenza stabile, una casa fatta di pietre vive, ossia di persone. Il Messia, che nascerà dalla stirpe di Davide, darà un significato pieno al mistero dell’oracolo del Profeta Natan. Infatti, con la incarnazione del Verbo di Dio, la Vergine Maria diventa la santa dimora che Dio stesso sceglie per porre la sua tenda in mezzo a noi. Diventa simbolicamente la nuova Sion, nelle cui mura non c’è piu’ il tempio di pietra e di legno come quello salomonico, ma il tempio perfetto della carne di Cristo. Nel grembo di Sion, cantava il Profeta Sofonia, “il Signore Dio è presente e il Potente ci salverà” (3,14-17). Nel seno di Maria, la nuova Sion, il Signore crea il suo tempio per entrare in comunione con l’umanità. Cristo è questo nuovo “tempio” aperto a tutti, la cui costruzione inizia nel grembo stesso di Maria, diventato per nove mesi la dimora dello Spirito Santo. Ebbene, il brano evangelico di oggi, già incontrato nella solennità dell’Immacolata Concezione, pur presentandoci, ancora una volta, Maria come destinataria diretta del messaggio divino, ci permette di cogliere, alla luce dell’oracolo di Natan e della profezia di Isaia dell’Emmanuele, alcuni tratti di Cristo, ben compendiati nelle parole di Luca:”Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo Padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe ed il suo regno non avrà fine”. Sono parole cariche di mistero che convergono su Cristo e si riverberano su Maria, rappresentata dall’evangelista Luca, come luogo della presenza di Dio:”Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo”. Il richiamo alla presenza misteriosa di Dio sotto forma di “nube”, prima nella tenda del deserto, poi nel tempio di Gerusalemme; ed ora incombente su Maria, che sta per generare il Figlio di Dio per opera dello Spirito Santo, vuole dimostrare che la nascita di Gesù risale soltanto ad un’iniziativa divina. Non solo, ma sta anche a simboleggiare che Maria è la nuova Sion, nella quale viene costruito il nuovo tempio di Dio, Gesù Cristo. Nel suo grembo verginale il mistero di salvezza, nascosto e taciuto per secoli eterni, grazie al suo “sì”, ora si rivela in pienezza. Vediamo così realizzata la profezia di Natan che capovolge i progetti di Davide e gli stessi progetti di Maria, sconosciuta fanciulla di Nazaret, che, liberamente ed incondizionatamente, aderisce al disegno dell’Altissimo. Vediamo come tutta la rivelazione punti decisamente verso Cristo, che Maria ci mostra quale unica “via” per giungere alla salvezza.  Pertanto, tutta la liturgia odierna è un invito a conoscere, a cercare, ad amare il volto di Cristo. Un uomo come tutti gli altri uomini, che nasconde in Sé l’Eternità.  Quell’Eternità che ha voluto  entrare nel tempo della storia, per elevare la pochezza della nostra finitudine  agli orizzonti di ciò che più non muore: la nostra eternità.