QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA

q4 Una vibrazione di gioia percorre la liturgia della  parola odierna, anche se il suo sfondo è caratterizzato dal dramma del peccato. E la gioia risuona nell’antifona d’ingresso:”Rallegrati, Gerusalemme …… Esultate e gioite”. Si trova nel salmo responsoriale:”Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode”. E’ presente nella conclusione della parabola del figliuol prodigo:”bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E’ una gioia festosa che nasce dal ritrovamento della persona sempre amata e sempre cercata. E’ la festa della creatura nuova, rinnovata dall’amore del Padre che non si stanca mai di salvare i propri figli, che predilige da sempre.

La parabola del Figliuol prodigo è la manifestazione più tenera della paternità misericordiosa di Dio, che non solo va incontro al figlio pentito che ritorna, ma scuote anche il cuore di quel figlio che, credendosi giusto e fedele, si chiude nel guscio dei suoi capricci, del proprio egoismo, resistendo al bisogno di salvezza.  La misericordia di Dio è il messaggio centrale della parabola, che si sviluppa in due sezioni, ben raccordate dalla figura del Padre.

La prima rappresenta la situazione di chi, illudendosi di fare a meno di Dio, si attacca al guinzaglio dei propri interessi, rincorrendo false felicità, che si trasformano in tossico. E’ la storia del fratello minore che, dopo aver preteso la sua porzione di eredità, si allontana, sperpera tutto, sciupando da dissoluto la propria vita. A questo punto, ormai nel fondo della miseria, si verifica una inversione di rotta:”Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato…”. E’ la sconfitta del peccato con l’abbandono definitivo del passato; è il grido di vittoria di chi sta per gustare il ritorno al Padre, che sempre lo ha atteso. Sembra quasi vedere nel Padre questa sentinella d’amore, sempre pronta a spiare nel buio del deserto la figura del figlio, per corrergli incontro e abbracciarlo. E’ proprio vero che la misericordia di Dio è più forte della nostra miseria!. E non può essere diversamente, perché Dio ci cerca e ci sente come una madre, a tal punto che Origine arriva a dire:”Nessuno è tanto madre quanto il Padre”. Egli ci ama perdonandoci e ci perdona amandoci. Anzi la sua più grande gioia è quella di essere misericordioso. E la misericordia del Padre non si ferma neppure di fronte al fratello maggiore, il cui comportamento ostenta un misto di perbenismo interessato e di fredda onestà: espressione di una religiosità ipocrita, insensibile e senza amore, fatta di semplici formalità, ma priva di cuore.

Un comportamento questo non estraneo alle nostre comunità, nelle quali i fratelli maggiori abbondano e sembrano i depositari di ogni verità. Facilmente giudicano e condannano; gridano più la giustizia di Dio verso gli altri che la sua bontà e misericordia verso tutti. Si configurano come categoria di super-credenti che, come il fratello maggiore, sono sempre pronti a rinfacciare ogni sorta di bontà a chi è diverso da loro. Purtroppo per costoro la religione è più una medaglia da mostrare che amore da vivere; più un insieme di norme da osservare che una persona da rispettare; è più un contesto di riti che di verità da proclamare. Ebbene, nonostante tali atteggiamenti, il Padre è paziente e continua la sua iniziativa di redenzione. Come per il figlio minore, così anche per il maggiore non aspetta il suo rientro; anzi esce di casa, pregandolo, quasi in ginocchio di entrare. Con tenerezza gli offre tutto se stesso:”tutto ciò che è mio, è tuo”; gli svela il segreto della sua gioia, lo esorta a vivere nella sua intimità.

Non sappiamo come la storia del fratello maggiore finisce. Ma una costa è certa: Dio esce di casa sempre, per ciascuno di noi: per chi lo cerca e per chi resta indifferente; per chi è smarrito nel peccato e nella disperazione, e per chi è chiuso nel guscio di una religione interessata. In ogni deserto brilla sempre una luce: è quella del Padre, pronto a trasformare la morte nella vita, lo smarrimento nel ritrovamento di sé, il peccato nella grazia, la disperazione nella speranza. E’ la luce dell’amore che ci precede sempre e ci converte, ricreandoci nell’originaria dignità di figli in una comunione di infinita tenerezza paterna.

 

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