TERZA DOMENICA DI QUARESIMA

q3    “Il Signore ha pietà del suo popolo”: è questo in sintesi il messaggio della liturgia odierna, la quale si situa in un contesto di conversione, quale risposta adeguata alla pazienza, alla premura di Dio, che non si stanca mai di rincorrere il peccatore. Anzi, Egli è attento al grido di chi soffre: il dolore tocca la tenerezza del Suo cuore. A differenza dell’uomo che non scorda il male ricevuto, Dio dimentica tutto; è sempre in un atteggiamento di attesa del figlio pentito, che ritorna alla casa del Padre. Egli non è un Dio freddo, rigido, vendicativo, quasi dirimpettaio alle sorti dell’umanità. E’ vicino a noi, per attirarci al Suo amore. Non si compiace della morte del peccatore, ma vuole la sua conversione, la sua salvezza. L’invito alla conversione è ben delimitato nel Vangelo di oggi sia nel commento a due episodi di cronaca del tempo, sia nella parabola del fico sterile.

Nel rifarsi a questi due episodi, Gesù vuole insegnare che la disgrazia non deve essere vista come un castigo di Dio, ma come un’occasione ed un avvertimento per la conversione. Il che significa che nei piccoli e nei grandi eventi della storia personale ed universale, bisogna imparare a cogliere i segni  della presenza di Dio, che, nonostante le nostre frequenti fragilità, continua a creare per noi sempre nuove opportunità di salvezza. E’ veramente infinita la speranza che Egli ripone in ognuno di noi, che, per quanto possiamo peccare, siamo sempre l’oggetto privilegiato della sua preoccupazione. E ciò si evince chiaramente dagli avvenimenti tristi riferiti da Gesù: la morte violenta di alcuni galilei ed il crollo della torre di Siloe, che schiaccia 18 uomini. Avvenimenti che devono essere interpretati non secondo il principio veterotestamentario che delitto e castigo si succedono necessariamente. In essi, invece, dobbiamo leggere un monito per trasformare il nostro cuore:”se non vi convertirete – dice Gesù – perirete tutti allo stesso modo”. Pertanto, non indifferenza di fronte allo scenario del mondo; non semplice visione di uno spettacolo di vicende umane che si rincorrono fatalisticamente, ma la nostra deve essere una vera presa di coscienza degli accadimenti quotidiani, per lasciarsi costantemente convertire da essi.

In questa liturgia quaresimale  si consolida, ancora di più, l’appello con cui Gesù ha iniziato la sua predicazione:”convertitevi e credete al Vangelo”. Si  sente quasi il grido del Figlio, che invoca il nostro ritorno, la nostra conciliazione con il Padre, dopo aver operato la liberazione dalle pesantezze del peccato che aggrovigliano il cuore, offuscano la mente. E il richiamo di Gesù alla conversione, oltre ad essere urgente, non si risolve in una facciata comportamentale, ma esige un cambiamento di mentalità, un diverso modo di pensare e di agire che costituisce la novità del vero cristiano. Naturalmente, convertire il cuore all’amore, al perdono, alla purezza, alla carità, alla solidarietà, alla giustizia, alla speranza, non è facile. Ci siamo troppo assuefatti alle nostre comodità; ci siamo troppo adattati alla visione del fico frondoso, ma infruttuoso! Ma il Signore sa anche che le trasformazioni interiori costano, richiedono tempo. Ecco perché, come il padrone della vigna, ha pazienza ed aspetta. Ci aspetta, perché portiamo frutti, diventiamo cristiani maturi, figli della sua tenerezza. Non ci taglia, ma ci  concima con il suo amore, con il suo affetto paterno e materno. Anche se la nostra vita spesso non rivela i frutti saporosi della fede e delle opere buone, la misericordia del Padre non ci manca mai. Egli non ci lascia in balia di noi stessi né ci chiude nei nostri errori; ma si occupa di noi, interviene nella nostra vita, proprio come il contadino che zappa il fico sterile, in attesa della sua fecondità.

Purtroppo, spesso resistiamo a questa presenza silenziosa ed amorevole di Dio, illudendoci di essere i padroni della nostra vita. Respingiamo la sua paternità misericordiosa, rischiando di essere tagliati come un fico, che non dà frutti. Un rischio che non possiamo correre, soprattutto se consideriamo che “per ognuno di noi ogni momento che passa è sempre l’ultimo ed è carico del nostro destino eterno”.

Perciò, non differiamo il nostro convertirci a Gesù e alle esigenze del Suo Vangelo, né adagiamoci sul passato senza più rinnovarci, perché – come ammonisce San Paolo – “chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere”. E la certezza di stare in piedi davanti a Cristo dipende dalla nostra responsabilità nel progettarci come uomini nuovi, con lo spirito sempre giovane, proiettato verso gli orizzonti di una profonda conversione del cuore.

 

 

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