Nasce l’amore

Solo chi si ama,desidera conoscersi bene si cerca ovunque,anche nelle cose deboli Non vola in alto per vedersi tra le nubi ma preferisce stare con chi gli è vicino Soltanto nell’altro eleva la sua umanità e vive il silenzio di […]

Amami come sono

Amami come sono e non per ciò che sembro non cercare in me ciò che è in te:sbagli Ognuno ha in sè qualcosa di irripetibile tu,se vuoi,puoi imitarlo,ma mai copiarlo Forse ti impressioni per la mia maturità non desistere,sarai certo […]

pianto

Il miracolo delle lacrime

Chi non ha mai pianto non è un vero uomo e tanto meno ha una fede viva. Tra i tanti miracoli dell’umanita quello delle lacrime è  il più bello, perché schiude il cuore alla gioia e al dolore, al sorriso dell’accoglienza e […]

Chi bussa alla porta?

Non affogare la vita nello scrigno d’oro ogni cosa vive nel segno del provvisorio Nessuno si appaga in quello che possiede nè depone le ali,usate sempre per volare Chi ha,più vuole e si preoccupa di avere è come una trottola,mai […]

Più tempo per me

Ho consumato troppo tempo,senza avere nemmeno un istante per poter misurare la cifra tra ciò che ero ed oggi sono Sempre immerso nell’immediato,tutto m’è sfuggito di mano persino l’ombra del silenzio,dove guardavo al mio futuro Ora conto attraverso le rughe […]

 

E vedo l’incredibile

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Ogni giorno mi dedico un pò di tempo, non per i miei capricci,
ma per leggere, lungo la strada, i comportamenti verso i poveri.
E vedo l’incredibile.
Persone che passano oltre, con gli occhi abbassati ed a passi svelti,
e sono quelle che, negli incontri, parlano sempre di solidarietà e amore.
Altre che si fermano, solo per qualche istante, con le mani nelle tasche
e subito vanno via, per paura di confrontarsi con la propria coscienza.
Poche che guardano, parlano, donano un sorriso e, senza farsi notare,
quasi di nascosto, depositano un obolo nel cappello che essi tendono.
E sono proprio quest’ultime,che, a differenza delle prime solo parole,
rivelano un afflato di vera carità cristiana.

 

SECONDA DOMENICA DI AVVENTO

avTutti e tre i brani biblici esprimono un senso profondo di attesa gioiosa e trepidante. C’è qualcosa di inaudito, di nuovo, di molto importante che deve avvenire; c’è soprattutto Qualcuno che deve venire. E per questo Qualcuno, Gesù, ogni credente è invitato a vivere nell’attesa, proiettato nel futuro, senza però mai perdere il sapore del proprio presente, della propria quotidianità, nella quale deve saper leggere e cogliere la presenza di Dio. Perciò, la nostra non è un’attesa inerte, passiva, ma viva e creativa; non è un’attesa che si esaurisce nella semplice rievocazione di un fatto passato, quale è appunto la nascita storica di Gesù, ma è un porsi in un atteggiamento di vigile responsabilità verso il Signore che viene: la seconda venuta di Gesù, quell’ultima e definitiva, quando Gesù,cioè, verrà per giudicare il mondo e per introdurci nel suo regno di gloria. Noi siamo e viviamo questo frattempo, questo intermezzo tra la I^ e la II^ venuta non chiusi nel guscio delle nostre aspettative, ma su di una linea di preparazione e di vigilanza mendicanti del cielo, aperti al divino che entra nella nostra storia. Viviamo questa attesa nella consapevolezza che Dio non è una statua fredda, rigida, indifferente alle nostre ansie, ma è un Padre di misericordia e di consolazione, fermo sulla soglia di casa per accogliere il peccatore pentito. “Consolate, consolate il mio popolo -dice il vostro Dio-– Leggiamo nel Profeta Isaia. Parlate al cuore di Gerusalemme” perché “ha scontato la sua iniquità, cioè si è convertita”.

Dio non smette mai di stupirci. Gerusalemme oggetto del Suo castigo, diventa oggetto di amore senza confini. Dio si fa tenero, di una tenerezza materna e paterna, sino a manifestarsi pastore nella tutela dei suoi figli.

E questo cambiamento di salvezza non è un fatto meccanico oppure automatico. E’ la conversione di Gerusalemme che quasi costringe Dio alla diffusione della sua misericordia, della sua consolazione.

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Il grilletto dell’impazienza

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La pazienza é una ricchezza che facilmente sperperiamo.
Una parola o uno sguardo non graditi, un gesto o un cenno di contrarietà
rompono spesso il collante di equilibrio e creano incerte dosi di insofferenza.
Abbiamo perduto il senso della tolleranza.
Non riusciamo a sopportare più nulla e nessuno.
Basta poco per far scattare il grilletto della collera.
Siamo diventati troppo familiari all’ impazienza, per cui appena toccati,
contestiamo tutto, persino un sorriso o una parola di affetto, che,  in momenti diversi,
sarebbero stati certamente motivo di profonda felicità.

La necessità di esercitare il proprio ruolo

rispetto

 

Nel poco o nel molto ognuno ha la responsabilità della gestione.

Sottrarsi al proprio ruolo, facendosi trascinare dagli eventi, con il rischio di perdere tutto

sia il poco che il molto, è un pò come porre una pietra tombale sul futuro  proprio e degli altri.

Chi occupa un posto di prestigio o meno, ha il dovere di attenzionarlo con il  senso profondo della diligenza

consapevole che un esatto espletamento può essere traino di benessere morale e sociale.

Non basta bearsi solo della prosopopea: stare in alto,  senza nulla fare,  è come sedere sull’ orlo di un precipizio.

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Il silenzio di Dio e il nostro silenzio

croce

Dio tace non perchè stanco dei nostri capricci, ma solo per farsi cercare ed ascoltare.

Egli mai ci abbandona nè ci lascia in balia di noi stessi.

Il suo silenzio non è un isolarsi da noi, è semplicemente un invito ad essere suoi cercatori.

Infatti, Egli non vede l’ora di incontrarci.

Ciò che fa paura,invece, è il nostro silenzio,soprattutto quando è involucro di tenebre, possesso di beni ed allontanamento dalle cose di lassù.

E questo è il silenzio, che chiude la porta ad ogni speranza e rumina Dio come una semplice invenzione;fissa lo sguardo nel vuoto senza estasi e sciupa il tempo senza istanti di luce.

Troppe energie mortificate dalla burocrazia

burocrazia

Troppe sono le energie frenate dalla burocrazia.

Molte sono le intelligenze mortificate dal sistema, che pasce piegato su stesso, senza briciole di creatività.

Anche se il potere grida progetti lungimiranti, grandi riforme, non si può  sottacere che nulla fa per eliminare quelle ramificazioni burocratiche, che si annidano in tantissimi enti periferici, spesso veicoli di mazzette e non di veri controlli.

Ed  è  proprio questo coacervo, che tarpa ogni iniziativa privata, gravandola di autorizzazioni e di vincoli, che non solo creano incertezze temporali, ma quasi sempre si risolvono in ambigui sorrisi venali.

Ebbene, non é possibile che in una congiuntura economica così fragile, con il più alto tasso di disoccupazione, possano ancora vivacchiare degli enti, la cui flemmaticità nelle risposte é divenuta proverbiale.

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La responsabilità dei preti

 

 

I preti hanno una grandissima responsabilità, quando parlano dal pulpito.

Spesso non si rendono conto che a causa di ciò che dicono e di come lo dicono, creano in chi ascolta una cattiva fama di Gesù.

Purtroppo, in tanti manca, prima di parlare, il silenzio, necessario per accostarsi, con cuore docile ed orante, alla Parola di Dio.

Non sempre hanno familiarità con Essa,  per cui parlano più da padroni che da servi della Parola.

Ed anche se posseggono un grande bagaglio di cultura biblica, le loro troppe parole rimbombano come chiese vuote, ma non penetrano mai nel cuore di chi ascolta nè gli generano il pensiero di Cristo, che solo chi lo vive, lo può proclamare.

PRIMA DOMENICA DI AVVENTO

unoInizia il nuovo anno liturgico, che si apre, come sempre, con il grande periodo dell’Avvento. Etimologicamente tale termine significa “attesa, venuta, ritorno”. Attesa non di qualcosa, ma di Qualcuno, della venuta di Cristo, rivelatore di Dio e redentore dell’uomo. E’ un tempo particolarmente ricco di speranza, che getta intensa luce sul nostro presente, ove l’attesa di una Presenza viva, di una Parola che salva ci aiuta a superare la percezione del vuoto, il senso della precarietà, facendoci sentire pellegrini di Dio in cammino verso il cielo.
La vita di ogni cristiano, la nostra vita, è un continuo avvento, che però non deve chiuderci nella semplice rievocazione della nascita di Cristo, ormai per noi situata nel passato, ma deve proiettarci verso la sua venuta ultima e definitiva, quando, cioè, Egli verrà a giudicare il mondo e ad introdurci nel suo regno di gloria.
Ed è proprio verso questo avvento che noi tendiamo, immersi nel presente, ove cogliamo le sfide della storia, vivendole momento per momento alla luce del Vangelo, ma protesi verso il futuro di Dio, di cui sentiamo struggente nostalgia. Pertanto, in questo intermezzo tra le due venute, il Natale e la Parusia del Signore, noi ci giochiamo il nostro destino di eternità. Un destino che sarà tanto aperto alla trascendenza, quanto più vera è la rinascita della nostra vita in attesa del Dio che viene. Naturalmente, il miglior modo di vivere la vita in questo frattempo è seguire le orme da Lui tracciate, senza “vagare lontano dalle sue vie, indurendo i nostri cuori”.
La prima lettura, ripresa dal libro di Isaia, ci presenta un accorato lamento del Profeta, che medita sulle sventure del popolo di Israele, le cui “iniquità l’hanno portato via come il vento”. L’intervento di Dio è necessario per la salvezza del popolo ed è visto come un evento desiderato e sospirato:”Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” – dice il Profeta. E Dio in Cristo infrange i cieli, discende in mezzo a noi, rivela il suo volto di Padre e di redentore, ci rinnova, ci plasma come argilla, operando il rinnovamento dei cuori.
L’Incarnazione è la testimonianza più alta di quest’azione di Dio verso l’uomo, di quest’avvento del Signore nella nostra storia.
Ma Gesù ci parla anche di una seconda venuta al di là della sua morte e risurrezione: una venuta certa, ma incerta nel tempo:”quanto a quel giorno o a quell’ora – dice – nessuno li conosce, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre”.
Ci troviamo davanti ad un arrivo sicuro ma senza preavviso e senza data. Anzi, tutto è sorpresa ed imprevedibilità. Pertanto, la nostra posizione non deve essere di sonno o di indifferenza, di pigrizia o distrazione; ma di attesa e di vigilanza, di speranza e di fede, onde non farci trovare imbrigliati o legati al guinzaglio delle cose terrene.
Nel Vangelo di oggi è davvero impressionante l’insistenza di Gesù sul dovere di “vigilare”, espresso con una terminologia categorica ed imperativa:”vegliate, vegliate, vegliate”. E’ il grido, ripetuto per ben tre volte, di chi ama e vuole la nostra salvezza, che possiamo raggiungere soltanto se viviamo in un atteggiamento di vigile responsabilità verso il tempo, il nostro tempo, che passa e che rende, inevitabilmente, più vicino l’incontro con Dio.
La vita è veramente un affare serio! Perciò, non può essere sciupata, esaurendoci nelle solite assunzioni di maschere comportamentali prive di essere e di sincerità. Non può essere banalizzata, rincorrendo fantasie e mode che cambiano, tradite dalle continue esigenze di consumismo.
La vita va vissuta con serietà, cogliendo la vivacità della sua bellezza, antica e sempre nuova, ma senza mai perdere il gusto di Dio, che può arrivare improvvisamente.
Bellissima a tale proposito è la piccola parabola, offertaci dall’evangelista Marco, nella quale vengono sottolineati la certezza del ritorno del padrone, partito per un viaggio, e il clima di attesa dei servi, a cui affida i beni, che vivono nella indeterminatezza della sua sicura, ma improvvisa venuta.
Una situazione di incertezza temporale che porta con sé la necessità di essere pronti, non solo per scoprire le continue presenze di Dio in mezzo a noi, ma anche per essere aperti all’incontro definitivo con Lui. Certo, questo nostro tempo è privo di attesa, di speranza, di vigilanza, tutto è fermo nella spirale dell’immediatezza, che assorbe presente e futuro, allontanandoci persino dalla memoria del passato. Viviamo appesi ai nostri interessi, indifferenti agli spazi di vitalità spirituale e trascendente. Una sorta di eclissi morale e religiosa sta uccidendo ogni domanda di verità circa il destino della vita, ormai congelata soltanto nella cultura del benessere materiale. Anzi, molti oggi si proclamano senza religione o con l’idea di un piccolo “dio”, esibito a mo’ di etichetta sentimentale. Sedotti dalle cose di facile possesso e piacere, restano indifferenti alle domande più radicali, preferendo il vuoto esistenziale, anche se riempito di cose, piuttosto che la realtà di un Dio, che ha “squarciato” le tenebre della storia, per incontrarsi con l’uomo. Ebbene, in questo tempo di avvento, occasione propizia per ripensarci alla luce di Dio, noi cristiani dobbiamo affrontare queste sfide non con la cultura del tempo, ma con la forza del Vangelo, sempre piu’ fresco ed attuale di qualsiasi cultura umana.
Però, mai dobbiamo assopirci, spegnendo la fiamma della fede, della speranza e della carità. Dobbiamo essere sempre svegli, capaci di cogliere i piccoli avventi di Dio nella storia di ogni giorno, in modo da farci trovare irreprensibili per il grande avvento finale, quando su ciascuno di noi, Lui, Giudice Universale, poserà il suo giudizio di vita o di morte, di premio o di condanna, di benedizione o di maledizione, a seconda delle opere di carità e di misericordia compiute.

La caduta di un sogno

volo

Quando incominci a desiderare voli diversi, non più a bassa quota o  sulla stessa lunghezza d’ onda,

vuol dire che cerchi orizzonti nuovi, dove pensi di appagare i fremiti della curiosità, che bussano

alla porta del tuo cuore.

Non vedi più né il poetico arcobaleno che univa ogni nostro pensiero né il reciproco sorriso,

che ci vedeva camminare all’ ombra della sua visione.

Tutto é scaduto ormai in un chiaroscuro incerto, dove ricordi e sogni sono solo poveri cocci.

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Essere all’ombra di altri

bocca

 

 

A che serve essere qualcuno e sentirti poi prigioniero di ciò che sei all’ ombra di altri?

Non è più appagante vivere come nessuno, ma libero, senza vincoli sospesi sempre al raggio d’ azione altrui, che determina persino i tuoi pensieri?

Ricordati che la vita si fa bella e si copre di entusiasmo solo quando gli occhi e le labbra si aprono per dire sì oppure no in armonia con la coscienza e non per piacere ad altri.

In un uomo non c’ é povertà peggiore che parlare con la bocca degli altri, pur sapendo di non condividere il contenuto di ciò che riferisce.