PRIMA DOMENICA DI AVVENTO

unoInizia il nuovo anno liturgico, che si apre, come sempre, con il grande periodo dell’Avvento. Etimologicamente tale termine significa “attesa, venuta, ritorno”. Attesa non di qualcosa, ma di Qualcuno, della venuta di Cristo, rivelatore di Dio e redentore dell’uomo. E’ un tempo particolarmente ricco di speranza, che getta intensa luce sul nostro presente, ove l’attesa di una Presenza viva, di una Parola che salva ci aiuta a superare la percezione del vuoto, il senso della precarietà, facendoci sentire pellegrini di Dio in cammino verso il cielo.
La vita di ogni cristiano, la nostra vita, è un continuo avvento, che però non deve chiuderci nella semplice rievocazione della nascita di Cristo, ormai per noi situata nel passato, ma deve proiettarci verso la sua venuta ultima e definitiva, quando, cioè, Egli verrà a giudicare il mondo e ad introdurci nel suo regno di gloria.
Ed è proprio verso questo avvento che noi tendiamo, immersi nel presente, ove cogliamo le sfide della storia, vivendole momento per momento alla luce del Vangelo, ma protesi verso il futuro di Dio, di cui sentiamo struggente nostalgia. Pertanto, in questo intermezzo tra le due venute, il Natale e la Parusia del Signore, noi ci giochiamo il nostro destino di eternità. Un destino che sarà tanto aperto alla trascendenza, quanto più vera è la rinascita della nostra vita in attesa del Dio che viene. Naturalmente, il miglior modo di vivere la vita in questo frattempo è seguire le orme da Lui tracciate, senza “vagare lontano dalle sue vie, indurendo i nostri cuori”.
La prima lettura, ripresa dal libro di Isaia, ci presenta un accorato lamento del Profeta, che medita sulle sventure del popolo di Israele, le cui “iniquità l’hanno portato via come il vento”. L’intervento di Dio è necessario per la salvezza del popolo ed è visto come un evento desiderato e sospirato:”Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” – dice il Profeta. E Dio in Cristo infrange i cieli, discende in mezzo a noi, rivela il suo volto di Padre e di redentore, ci rinnova, ci plasma come argilla, operando il rinnovamento dei cuori.
L’Incarnazione è la testimonianza più alta di quest’azione di Dio verso l’uomo, di quest’avvento del Signore nella nostra storia.
Ma Gesù ci parla anche di una seconda venuta al di là della sua morte e risurrezione: una venuta certa, ma incerta nel tempo:”quanto a quel giorno o a quell’ora – dice – nessuno li conosce, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre”.
Ci troviamo davanti ad un arrivo sicuro ma senza preavviso e senza data. Anzi, tutto è sorpresa ed imprevedibilità. Pertanto, la nostra posizione non deve essere di sonno o di indifferenza, di pigrizia o distrazione; ma di attesa e di vigilanza, di speranza e di fede, onde non farci trovare imbrigliati o legati al guinzaglio delle cose terrene.
Nel Vangelo di oggi è davvero impressionante l’insistenza di Gesù sul dovere di “vigilare”, espresso con una terminologia categorica ed imperativa:”vegliate, vegliate, vegliate”. E’ il grido, ripetuto per ben tre volte, di chi ama e vuole la nostra salvezza, che possiamo raggiungere soltanto se viviamo in un atteggiamento di vigile responsabilità verso il tempo, il nostro tempo, che passa e che rende, inevitabilmente, più vicino l’incontro con Dio.
La vita è veramente un affare serio! Perciò, non può essere sciupata, esaurendoci nelle solite assunzioni di maschere comportamentali prive di essere e di sincerità. Non può essere banalizzata, rincorrendo fantasie e mode che cambiano, tradite dalle continue esigenze di consumismo.
La vita va vissuta con serietà, cogliendo la vivacità della sua bellezza, antica e sempre nuova, ma senza mai perdere il gusto di Dio, che può arrivare improvvisamente.
Bellissima a tale proposito è la piccola parabola, offertaci dall’evangelista Marco, nella quale vengono sottolineati la certezza del ritorno del padrone, partito per un viaggio, e il clima di attesa dei servi, a cui affida i beni, che vivono nella indeterminatezza della sua sicura, ma improvvisa venuta.
Una situazione di incertezza temporale che porta con sé la necessità di essere pronti, non solo per scoprire le continue presenze di Dio in mezzo a noi, ma anche per essere aperti all’incontro definitivo con Lui. Certo, questo nostro tempo è privo di attesa, di speranza, di vigilanza, tutto è fermo nella spirale dell’immediatezza, che assorbe presente e futuro, allontanandoci persino dalla memoria del passato. Viviamo appesi ai nostri interessi, indifferenti agli spazi di vitalità spirituale e trascendente. Una sorta di eclissi morale e religiosa sta uccidendo ogni domanda di verità circa il destino della vita, ormai congelata soltanto nella cultura del benessere materiale. Anzi, molti oggi si proclamano senza religione o con l’idea di un piccolo “dio”, esibito a mo’ di etichetta sentimentale. Sedotti dalle cose di facile possesso e piacere, restano indifferenti alle domande più radicali, preferendo il vuoto esistenziale, anche se riempito di cose, piuttosto che la realtà di un Dio, che ha “squarciato” le tenebre della storia, per incontrarsi con l’uomo. Ebbene, in questo tempo di avvento, occasione propizia per ripensarci alla luce di Dio, noi cristiani dobbiamo affrontare queste sfide non con la cultura del tempo, ma con la forza del Vangelo, sempre piu’ fresco ed attuale di qualsiasi cultura umana.
Però, mai dobbiamo assopirci, spegnendo la fiamma della fede, della speranza e della carità. Dobbiamo essere sempre svegli, capaci di cogliere i piccoli avventi di Dio nella storia di ogni giorno, in modo da farci trovare irreprensibili per il grande avvento finale, quando su ciascuno di noi, Lui, Giudice Universale, poserà il suo giudizio di vita o di morte, di premio o di condanna, di benedizione o di maledizione, a seconda delle opere di carità e di misericordia compiute.

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