Domenica III Tempo Ordinario

unitàIl messaggio fondamentale della liturgia della Parola  odierna è dato dal simbolismo della “luce”, che, già domenica scorsa, il profeta Isaia ha annunciato per il servo sofferente di Jahvè:”Io ti renderò luce delle nazioni”. Questa “grande luce” che Dio, attraverso il profeta, promette alle regioni di Zabulou e Neftali, soggiogate dal re dell’Assiria, è Gesù Cristo, il quale viene presentato dall’ evangelista Matteo come Colui che realizza le profezie del Vecchio Testamento.

Infatti, esplicito è il collegamento  quando dice: ”Gesù……venne ad abitare a Cafarnao, presso il mare, nel territorio di Zabulou e di Neftali, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo per profeta Isaia”. Non solo Gesù è identificato in questa “grande luce”, ma anche il suo insegnamento si profila come una “grande luce”, che egli compendia in una sola espressione, carica di attrazione trasformante: ”Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino”. Qui, con forza, senza compromessi, proclama che la regalità di Dio si è fatta vicina all’uomo; e, per mezzo di Lui, Dio è entrato nel tempo, nella storia, per farsi compagno di viaggio dell’uomo; per bussare alla porta del suo cuore, onde elevarlo e trasformarlo in un’esperienza di grazia, di luce e di gioia.

Quella di Dio è una vicinanza che si realizza  sì in Cristo, però esige un cambiamento profondo del cuore e della mente; una trasformazione interiore che diventa disponibilità, apertura. Pertanto, se nel messaggio di Cristo è centrale l’annuncio del regno di Dio, la nostra conversione è la condizione essenziale per entrarvi; se Gesù è la luce che risplende nel mondo, la sua accoglienza richiede che ognuno di noi debba mettersi in un atteggiamento di conversione permanente. Senza dimenticare che la conversione è già frutto del regno, è il segno della sua presenza. Infatti, nella misura in cui si arricchisce la nostra capacità di autotrasformazione, di cambiamento di vita in Cristo, nella stessa misura il regno di Dio si fa più vicino a noi.

Ebbene, i primi raggi di questa “grande luce” che è Cristo, e della conversione che opera nel cuore degli uomini, li vediamo quando Gesù chiama i quattro discepoli Pietro ed Andrea, Giacomo e Giovanni: ”seguitemi, vi farò pescatori di uomini”. Come si constata, non sono loro a seguire spontaneamente Cristo, ma è Lui che li sceglie e li chiama alla sequela, la quale non implica tanto la ricerca di una dottrina, quanto l’amore verso la sua Persona e  il percorso sulla medesima strada, che arriva alla croce. Questi primi discepoli certamente non conoscono l’intensità significativa della sequela, alla quale vengono chiamati; ma la risposta, decisa e senza incertezze, mette in evidenza la disposizione del loro cuore: ”subito, lasciate le reti, lo seguirono”, inserendosi in una esistenza del tutto diversa, con un ribaltamento totale del loro essere.

Questo episodio non è semplice storia del passato senza proiezioni nel presente o senza creatività esistenziale per il futuro, ma vuole essere un modello di risposta, valido nel tempo e per sempre, per tutti gli uomini che, chiamati da Cristo alla fede, si convertono alla sua sequela. Ed in questa prospettiva di conversione possiamo leggere la seconda lettura, ripresa dalla prima lettera di San Paolo ai Corinzi, nella quale  l’Apostolo condanna la stoltezza di tutti quei cristiani che per motivazioni personali, o di contesa o di simpatia, si rendono portatori di divisioni all’interno della Chiesa. A costoro San Paolo dice: ”non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di intenti”, perché Cristo è venuto a riunire e non a dividere.

Dividersi o contrapporsi nella Chiesa significa pervertire il concetto stesso di Chiesa. Purtroppo, molti cristiani, nel corso della storia, hanno frantumato l’unità della Chiesa in tante e diverse confessioni, dividendo davvero Cristo, con la trasgressione di quella preghiera, che Gesù, nel suo congedo da noi, rivolge al Padre: “che tutti siano una cosa sola, perché il mondo creda che Tu mi hai mandato”.

Piccole e grandi sono le divisioni che, purtroppo,  registra la storia della Chiesa. Al di là di quelle  piccole vissute nell’ambito delle nostre stesse comunità, ricordiamo le grandi scissioni avvenute nella Chiesa nel corso del tempo: lo scisma d’oriente nel sec. XI° che dette inizio nel 1054 alla Chiesa ortodossa con Michele Cerulario, patriarca di Costantinopoli; lo scisma d’occidente nel 1517 in Germania con Martin Lutero; l’altra divisione in Inghilterra con Enrico VIII° nel 1534 che segna la nascita delle Chiese protestanti.

Queste divisioni sono pesanti come macigni sull’unità dei cristiani. Macigni, però, che possono essere eliminati se, tutti aperti allo Spirito, rivisitiamo gli avvenimenti storici non più nell’ottica dei personalismi, ma alla luce della parola di Dio, convinti che è più quello che ci unisce che quello che ci divide. Credo che dobbiamo imparare con sincerità ad amare di più ciò che siamo, senza però odiare ciò che non siamo. Non è cristiano alzare barriere di divisione nei confronti di chi pensa diversamente. Nel rispetto delle legittime differenze, attraverso l’amore ed il dialogo, dobbiamo sentirci impegnati in una vera opera di conversione al regno di Dio, consapevoli che quando ci riuniamo nel nome di Gesù, Egli è in mezzo a noi.

 

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