Troppe sono le cause che affliggono l’ umanità.
Insorgono ogni giorno con dinamiche disarmanti e si abbattono su di essa, prostrandola in un labirinto disperato, che acceca ogni barlume di pace e di armonia.
Come se non bastassero i continui conflitti interni e tra i diversi Stati, che accrescono la ragnatela della povertà; o gli stessi cambiamenti climatici, con effetti distruttivi, quasi il grido di vendetta di una natura tradita.
Come se non bastasse la caduta libera di tante economie, anche di quelle ad alto reddito, che hanno e stanno gettando sul lastrico quelle più deboli, non si può sottacere la presenza nel cuore dell’ uomo di una ” fames auri”, di un’ avidità personale, che lo porta spesso a calpestare la dignità di chiunque si pone come impedimento ad essa e, nello stesso tempo, a rendere sempre più deprimente ed offensivo il divario tra i ricchi e i poveri con disastrose rotture relazionali a tutti i livelli.
Finchè esistono uomini e Stati avidi, che interpretano le sfide globali senza alcuno spirito di solidarietà, ma solo nell’interesse di se stessi e del loro Paese, l’ umanità non uscirà mai dal guscio della povertà e, quindi, della sofferenza.
E lo scenario dei popoli sarà sempre un intarsio di immagini variegate, che rappresentano poveri, morenti per fame e ricchi per avidità.

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