XXXIV Domenica

cristoOggi è l’ultima domenica dell’anno liturgico. Con essa termina il tempo ordinario, costituito da 34 domeniche, durante il quale abbiamo meditato il mistero di Cristo, Messia dei poveri e Messia della sofferenza. Tale ciclo si chiude con la visione della regalità di Cristo, che sintetizza tutta la storia della salvezza. Anche se tale festa, Cristo, re dell’universo, è di recente istituzione, essendo stata proclamata da Pio XI con l’enciclica “Quas primas”, alla fine dell’Anno Santo 1925, essa risale a Cristo stesso, il quale, alla domanda di Pilato se davvero fosse re, risponde:” tu lo dici: io sono re”. Ma la Chiesa, proponendo tale solennità a conclusione dell’anno liturgico, ci invita a penetrare il mistero di Cristo, quale re – pastore dell’umanità e giudice universale. E le tre letture bibliche odierne ci offrono un quadro abbastanza completo del senso di questa regalità, che non va vista in termini di potere, ma di servizio; non di semplice sovranità su cose e persone, ma di amore premuroso verso tutti. A tale proposito, bellissima è la prima lettura, ripresa dal libro di Ezechiele, ove il Signore appare come il Pastore del suo popolo. Un pastore – re che non domina, ma serve il suo gregge. Il profeta sottolinea questa regalità di servizio, usando una serie significativa di verbi: ”cercare, passare in rassegna, ricondurre le pecore disperse, curare quelle più deboli e ferite”, verbi che esprimono la paterna premura di Dio, che si fa amoroso compagno di viaggio dei suoi figli. Nello stesso tempo, ci anticipa che questa regalità di amore è anche una regalità di giudizio, così come leggiamo nella frase conclusiva di Ezechiele:”A te, mio gregge – dice il Signore Dio – : ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri”. Una frase che prepara lo scenario del giudizio finale, che troviamo descritto nel brano evangelico odierno.

Ebbene, anche San Paolo nella seconda lettura, tratta dalla prima lettera ai Corinti, celebra la regalità di Cristo, il quale è re soprattutto perché ha vinto la morte. L’Apostolo nella risurrezione vede un gesto di potenza, di regalità sovrana che supera gli stessi confini della morte. Nello stesso tempo, vede nella vittoria di Cristo, nuovo Adamo, la nostra futura vittoria. Infatti, se Cristo risorto è la primizia della nuova umanità dei redenti, proprio perché primizia, Egli ci unirà in questo suo trionfo finale, consegnandoci, insieme con Lui, al Padre. Lo stesso concetto, ma in maniera più pregnante, lo troviamo nel Vangelo di oggi, che conclude il discorso escatologico di Gesù. Qui, Matteo ci presenta l’ultimo atto della storia della salvezza, la scena del giudizio universale che Gesù Cristo, indicato con vari titoli di trascendenza: Figlio dell’uomo, re, pastore, Signore e giudice, emetterà sull’operato degli uomini, quando compariranno davanti a Lui. E il Suo sarà un giudizio di benedizione o di maledizione; di premio o di condanna; di vita o di morte. Sarà una Krisis, una separazione, cioè, dei buoni dai cattivi, dei figli della luce dai figli delle tenebre:” Il Figlio dell’uomo……separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri”. Il metro usato nell’atto di “separare” non si basa sulla straordinarietà delle azioni compiute, ma sulle opere di carità e di misericordia; sullo spazio di amore che abbiamo saputo vedere e costruire per i nostri fratelli: ”ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”. Con queste parole Gesù tesse la tela della salvezza sulla forza della carità, calata soprattutto sugli ultimi, con i quali mostra di identificarsi :”in verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Pertanto, il nostro incontro con Cristo va preparato ed anticipato, riconoscendoLo, in questo frattempo di vita terrena, nella persona dei poveri, degli affamati, degli emarginati. Il che significa che ogni volta che le nostre mani si riempiono di carità per donarla ad altri; ogni volta che  il cuore si apre all’accoglienza in un abbraccio di amore concreto; ogni volta che il nostro sguardo si posa o i nostri piedi si incamminano verso chi è nell’indigenza, noi entriamo in perfetta sintonia con Dio; viviamo con le stesse mani, lo stesso sguardo, gli stessi piedi di Cristo. E saremo da Lui benedetti, ricevendo la ricompensa dell’eredità eterna. Viceversa, ogni volta che chiudiamo il nostro cuore al prossimo o fingiamo di non sentire il grido di dolore di chi è in difficoltà; ogni volta che gli opponiamo le barriere dell’egoismo, intenti solo ad accumulare per noi stessi e sordi alle richieste di carità, noi non facciamo altro che squarciare la tela della salvezza, con il rischio di essere allontanati dal regno: ”Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli”. Pertanto, alla sera della vita e della storia, noi saremo giudicati sull’accettazione o sul rifiuto di Cristo, che ha voluto identificarsi con tutti quelli che soffrono. Anzi, il prossimo, qualunque sia, diventa il vero specchio nel quale possiamo vedere e misurare la nostra identità cristiana; l’unico video nel quale possiamo leggere il grado di amore verso Cristo.

 

 

Lascia un commento

Devi autenticarti per lasciare un commento