V Domenica di Pasqua

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Le letture bibliche di questa domenica, ricche di contenuto teologico, delineano una stupenda catechesi. Nella prima, ripresa dagli Atti degli Apostoli, leggiamo squarci storici della primitiva comunità cristiana, organizzata come un “corpo vivo”, con diversi compiti, come il servizio della carità, della parola e del culto. Nella seconda, tratta dalla prima lettera di San Pietro, vediamo le connotazioni di questo “corpo vivo”, quale “popolo sacerdotale”, i cui membri sono pietre vive della Chiesa, che ha come pietra angolare il Signore risorto. Nel brano evangelico di Giovanni, troviamo un accorato invito di Gesù a credere sempre più profondamente nel suo mistero di Figlio del Padre. Ma, data la molteplicità delle lezioni che possiamo trarre da queste letture, è opportuno fermarci al brano del Vangelo, preso dai “discorsi di addio” che Gesù rivolge ai discepoli nell’ultima Cena. Gesù inizia con parole di consolazione ai suoi, perché non si perdano d’animo: ”Non sia turbato – dice – il vostro cuore”. La sua è una finezza psicologica che mira a liberarli da uno stato di disorientamento e di amarezza in cui sono caduti dopo l’annuncio del tradimento di Guida e i ripetuti riferimenti alla sua morte di croce. E’ un momento particolare della vita di Gesù, che gli apostoli percepiscono con grande sofferenza. Ecco perché, in quest’ora drammatica, nella quale sembrano tramontare speranze e certezze, Egli più che preoccuparsi di se stesso per quanto gli sta accadendo, si sforza di fortificare la loro fede in Dio ed in Lui: ”Abbiate fede in Dio – dice – e abbiate fede anche in me”. Un doppio imperativo con il quale Gesù non solo rivela implicitamente il mistero divino della Sua Persona uguale e distinta da quella del Padre, ma cerca anche di creare una più intensa fiducia nei discepoli, quasi a voler dire che l’amore del Padre e del Figlio è sempre presente nella vita di ciascuno di loro. E pur di dare una maggiore concretezza alle parole di incoraggiamento, offre un ulteriore motivo di consolazione, dichiarando che “nella casa del Padre vi sono molti posti……Ed Io vado a prepararvi un posto”. E’ una immagine bellissima con cui Gesù configura il Regno di Dio come una casa ricca di molti posti o dimore, dove tutti noi, suoi seguaci, un giorno vivremo in comunione di amore e di vita eterna con il Padre celeste e con lo stesso Gesù Cristo glorificato. E questa è la grande promessa di Gesù: “Ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io”. Certamente siamo al cospetto di una solenne dichiarazione d’amore, la quale si riferisce immediatamente alle apparizioni del Risorto, che comportano la certezza della Sua persona permanente in mezzo a noi, ma, in linea prospettica, tale dichiarazione ci richiama alla parusia, cioè al grande ritorno di Cristo Signore, come Salvatore definitivo ed universale. Ed anche se questa parusia, o grande ritorno di Gesù, non è un fatto imminente, essa fonda l’attesa della Chiesa e sostiene il nostro presente, di pellegrini verso la Casa del Padre. Così Gesù, indicando ai discepoli il Padre  come dimora eterna, ultimo traguardo della loro vita, li istruisce e li corrobora nella fede. In altre parole, Gesù – come dice San Agostino – “prepara le dimore, preparando coloro che dovranno abitarvi”. Purtroppo, questo linguaggio di Gesù non viene compreso dagli Apostoli, tanto è vero che quando aggiunge:” e del luogo dove io vado, voi conoscete la via”, Tommaso, con un forte senso di realismo, domanda: ”Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?”. La risposta di Gesù è “una rivelazione di altissima certezza”, che “mira ad inculcare la fede in Lui, quale  unica via per giungere al Padre”: ”Io sono – dice – la via, la verità e la vita”. Tocchiamo il massimo della rivelazione del mistero di Cristo in relazione al Padre e alla nostra salvezza. Il punto principale, anche se Gesù si presenta come “verità e vita”, è racchiuso nella presentazione della Sua Persona come via: “Egli è la via”, in quanto è la “verità”, cioè la rivelazione diretta, visibile e definitiva del Dio invisibile. Non solo, Gesù oltre ad essere la “via della verità”, è anche la “via della vita”, nel senso che Egli è il datore della vita eterna di Dio offerta agli uomini. In altre parole, Gesù è il crocevia per arrivare al Padre: ”Nessuno viene al Padre – dichiara – se non per mezzo di me”. E qui si inserisce, come perla preziosa, un’altra richiesta, quella dell’Apostolo Filippo: ”Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Una domanda che offre a Gesù la possibilità di affermare la perfetta identità tra Lui ed il Padre. Così, prima esprime la sua meraviglia: ”Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?”. E poi spiega la propria identità con il Padre. La quale è  comunanza di essere :”Io sono nel Padre ed il Padre è in me”. E’ reciprocità e continuità di rivelazione: ”Le parole che io vi dico, non le dico da me”; ma “le dico come il Padre le ha detto a me”. Pertanto, gli Apostoli, che si erano fermati alla semplice fisionomia umana di Gesù e non riescono ad andare oltre, ricevono un profondo insegnamento, quello, cioè, di vedere in Gesù Figlio la presenza personale del Padre invisibile. Ed è proprio per questo che Gesù si fa “via” unica e necessaria per giungere alla casa del Padre. Bellissima, a tal uopo, è un’antica preghiera bizantina: ”Fa, o Signore, che i nostri occhi, fissi nei tuoi, sappiano riconoscere la luce del Padre, sappiano leggere nelle tue labbra le parole del Padre, sappiano scorgere nelle tue mani le opere che il Padre compie sempre, sappiano seguire i tuoi passi che ci conducono alla gloria del Tuo Regno”.

 

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