Categoria: Generale

VII DOMENICA T.O.

perdono

Domenica scorsa abbiamo esaminato quattro delle sei antitesi, mediante le quali Gesù rivelava che “non era venuto per abolire la Legge o i profeti, ma per portarli a pienezza”. Oggi completa la serie con le ultime due contrapposizioni, nelle quali  ancora una volta introduce la novità del suo insegnamento,superando così l’interpretazione riduttiva e formalistica  del vecchio Testamento. In queste due antitesi Gesù proclama la superiorità  dell’amore rispetto alla  rigida giustizia vendicativa.  Nella prima antitesi Gesù dice:” avete inteso che fu detto: occhio per occhio e dente per dente”; ma io vi dico di non opporvi al malvagio…”.

Questa  norma del V.T è conosciuta come” la legge del taglione”, dal latino ius talionis che consisteva nell’infliggere a chi si era reso responsabile di una lesione personale, una uguale a quella da lui compiuta. Questa legge che era già presente nella legislazione orientale come si constata nel codice di Hammurabi, sec. XVIII, con il tempo passò anche nella legge biblica, e, precisamente per tre volte la troviamo nel Pentateuco (Es.21,23-25;Deut.25,11-12;Nn.35,33). Oggi molti cristiani si meravigliano dell’esistenza biblica di questa legge. Uno stupore ipocrita soprattutto se si consideri che una specie di legge del taglione continua ad essere  presente nei nostri cuori. Anzi, in molti cristiani sembra che trionfi la “legge di Lamech”. Sapete chi era Lamech? Un lugubre personaggio, discendente di Caino che nel capitolo 4 della genesi esclama:”io uccido un uomo per una sola mia scalfittura e un ragazzo per un livido. Sette volte è stato vendicato Caino; Lamech sarà vendicato settantasette volte”. Oggi viviamo in un contesto dove per una minima violenza subita, si risponde con una violenza spropositata, generando una spirale di odio. Per Gesù tutto ciò non deve  esistere. Non solo non deve esistere  la vendetta effettiva, ma anche il desiderio di vendetta.

Nella seconda antitesi Gesù dice:” avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo ed odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici…se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Per gli Ebrei “prossimo” era il parente o il connazionale, per Gesù “prossimo” è ogni uomo, senza distinzione di razza, di lingua o di religione. Egli dilata i confini del “prossimo”, inglobando persino il nemico, per cui ogni uomo va amato. Ci si trova al cospetto di un amore universale, che è il culmine dell’insegnamento di Gesù. Pertanto, a chi si mette alla sequela di Cristo non basta il semplice salutare o il semplice amare i propri amici, cosa che fanno tutti. C’è bisogno di qualcosa di più, di essere, cioè, perfetto come è perfetto il Padre vostro. Mettendo in pratica questo amore, noi ci comportiamo ad imitazione di Dio padre che “fa sorgere il suo sole sui i cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”. Nello stesso tempo, ci comportiamo da veri figli di Dio, che si lasciano plasmare dal suo amore di Padre misericordioso. Poi, Gesù conclude le  sei antitesi con l’esortazione:” siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”: una conclusione che motiva tutto il suo insegnamento e dilata ciò che nella prima lettura afferma l’autore del Levitico:” Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo”. E’ l’amore che ci rende perfetti; è l’amore che ci fa santi.

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Il profumo di Dio

spirito santo

Non si può negare che oggi c’è  verso la Chiesa un clima di secolarizzazione, impregnato di ateismo e  in molti  di tanta indifferenza.

Spesso si registra un’ esaltazione scomposta delle fragilità, che certamente in Essa non mancano; un silenzio assoluto, invece, sulla bellezza delle  iniziative di solidarietà e di accoglienza, che contraddistinguono il vissuto della maggiore parte delle comunità ecclesiali.

Si ha l’ impressione che la vita cristiana non entusiasma né  tira più come prima, sia perché si lascia attraversare da troppi maestri e pochi testimoni, sia perché c’è  poco abbandono nello Spirito Santo, la cui presenza viva è  necessaria per un vero salto di qualità.

Tuttavia, al di là della indisponibilità che molti nutrono verso la Chiesa, è urgente per ogni cristiano un serio lavacro di rigenerazione, una ” metanoia ” di mente e di cuore, perché ognuno possa sentire, solo guardandolo, il profumo di Dio. Leggi tutto… »

Fede e Ragione come due ali

ali

Una fede che trascura l’intelligenza e la ragione è vana. Il credente è chiamato a rendere ragione della propria fede, della propria speranza. Pietro così si rivolge ai cristiani: “Siate sempre pronti a rendere ragione (fare apologia) della ragione (logos) della speranza che è in voi” (1Pt 3, 15). S. Agostino afferma: Fides si non cogitetur, nulla est (la fede se non è pensata è nulla). Riscoprire la bellezza della propria fede significa anche ricomprendere il rapporto inscindibile tra fede e ragione. Molto spesso noi pensiamo che la fede e la ragione percorrano strade differenti, itinerari paralleli che mai si incontrano. Comunemente diciamo che la fede inizia lì dove la ragione ha terminato la sua indagine. Non è proprio così. Fede e ragione camminano insieme. Fede e ragione lavoro insieme e insieme, come due ali, si aprono nel volo verso la conoscenza della verità. Bellissima è l’immagine che Giovanni Paolo II utilizza nell’incipit della Fides et Ratio: «La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità. E Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso». L’immagine delle due ali è significativa: un’aquila non può volare con un’ala soltanto; così l’uomo non può pretendere di giungere alla verità senza il servizio concomitante di fede e ragione. Senza queste due ali la vocazione umana alla verità non può essere pienamente espletata.

A cura di don Agostino Porreca

 

VI Domenica T.O.

vecchio“Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge e i profeti; non sono venuto per abolire,ma per dare compimento”. Prima di entrare nel merito di questo brano evangelico, è opportuno sottolineare che” la legge e i profeti” indicavano tutta la rivelazione dell’Antico Testamento; e, precisamente dal Pentateuco ai libri storici e profetici, includendo i Salmi e gli scritti sapienziali. Con questa affermazione Gesù si pone su di una linea di continuità con il V.T.; per cui Egli non è un rivoluzionario che è venuto a distruggere l’antica rivelazione, ma solo per darle compimento. Del resto, ”la legge e i profeti” sono parola di Dio, e Dio ha rivelato se stesso, parlando appunto attraverso Mosè e i profeti. Pertanto, tutto l’antico T. è “la via all’Evangelo” di Gesù, che darà ad esso una forza definitiva. Da ciò possiamo comprendere che tutto il V.T. è preparazione , è promessa e attesa dell’avvento di Gesù, che resta il centro, la base e l’apice dell’Antica Alleanza. Oggi attraverso le parole di Gesù noi entriamo lentamente nel mistero del Figlio di Dio. Dicendo che Gesù non è un rivoluzionario che vuole distruggere il V.T., possiamo comprendere le sei contrapposizioni che troviamo nel vangelo di oggi. Esse dimostrano non solo la novità del suo Vangelo, ma anche la coscienza della sua superiorità rispetto a Mosè e all’intera legge della vecchia Alleanza. Come dice San Paolo, la legge mosaica e l’antico T. nel loro complesso miravano solo a preparare alla fede in Gesù. Ciò che dobbiamo rilevare in queste contrapposizioni è l’elemento di completamento della legge antica, che Gesù esprime quando, dopo aver precisato:” avete inteso che fu detto…”, dichiara:” ma io vi dico…”. Con questa formula Gesù introduce il contenuto e lo spirito del suo insegnamento nuovo; indica quel “di più” che caratterizza la sua parola e la sua esistenza; quel “di più” rispetto a Mosè e al V.T. che ci permette di entrare nel mistero di Gesù stesso. Esaminiamo alcune contrapposizioni:” avete inteso che fu detto: non uccidere…ma io vi dico…;… non commettere adulterio… chiunque guarda una donna per desiderarla…;…chi ripudia la propria moglie….chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima…;…non giurare il falso….non giurate affatto….. Osservando queste antitesi, riscontriamo che il vecchio T. impone il minimo legale che si soddisfa con la sola osservanza letterale della legge; mentre Gesù esclude ogni codice giuridico, sollecitando lo spirito della legge animata dall’amore. È una vera svolta che trasforma la religione da osservanza di un insieme di norme in una adesione totale della coscienza e della vita. Relativamente alla prima contrapposizione Gesù non solo condanna l’omicidio, ma anche qualsiasi azione o sentimento di avversione verso il prossimo. In riferimento all’adulterio, Gesù condanna non solo il fatto compiuto,ma anche il desiderio,e, quindi l’adulterio del cuore. Per quanto riguarda il divorzio, Gesù proclama l’indissolubilità del vincolo matrimoniale, ribadendo che all’inizio dell’umanità Dio stabilì “un solo uomo per una sola donna”. Infine, in riferimento allo spergiuro, Gesù proclama la verità, la sincerità del cuore, l’onestà con l’esclusione del giuramento. Da tutto ciò si può capire che Gesù afferma la priorità dello spirito sulla legge, per cui la morale cristiana non si limita all’osservanza ritualistica e legalistica delle norma, ma coinvolge tutta la persona con il suo cuore e con la sua mente, impegnata, nelle scelte quotidiane, al rispetto e all’amore verso Dio ed il prossimo. In altre parole,Cristo contro i 613 precetti numerati dai rabbini, ci ricorda, citando il V.T. ,che il comandamento è uno solo, però abbraccia ogni istante ed ogni atto della vita:”Amerai il Signore Dio tuo con …….. ed il prossimo tuo come te stesso”. E’ da questo comandamento che “dipende tutta la Legge e i Profeti”(Mt.22,37_40).

Mai giocare di maschera

contrasto

ipocrisiaCondividersi con una persona che facilmente viene meno alla fiducia ricevuta, apre il cuore ad una profonda sofferenza.

E per quanto uno si sforza di non mancare di carità, di garantire quell’afflato di umanità che schiude al vero amore, risulta troppo pesante, soprattutto se si registrino falsità, inganni, bugie che rivelano tensioni di ipocrisia.

In un rapporto o di amicizia o di lavoro non bisogna mai giocare di maschera, ma solo di verità.

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V Domenica Tempo Ordinario

saleQuella di oggi è la domenica “del sale e della luce”. Due immagini semplici, ricche di significato, tratte dall’esperienza quotidiana, con le quali Gesù definisce la natura del vero cristiano, e, quindi, ci presenta l’identità del vero discepolo. E lo fa subito dopo la proclamazione delle Beatitudini, quasi a volerci dire che solo chi è povero in spirito, mite, misericordioso, operatore di pace, può diventare sale della terra e luce del mondo. In altre parole, colui che Gesù chiama “beato”, non lo è solo per se stesso, ma anche  per gli altri. Il discepolo, che sa di essere il riflesso della identità di Gesù, non può non ascoltare l’invito ad essere punto di riferimento, di purificazione e di trasformazione nel contesto storico e sociale in cui vive ed opera. Pertanto, cogliere il valore di queste due immagini, sulle quali Gesù innesta l’insegnamento rivolto ai discepoli, è molto importante. Ebbene, nella prima troviamo una vivace qualificazione di coloro che si mettono alla sequela di Cristo: ”Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini”. Al di là della ricchezza simbolica che il sale evoca presso gli antichi, possiamo dire che esso è un felice simbolismo per configurare la natura del cristiano, il quale deve essere in mezzo agli uomini quello che il sale è nel cibo. La sua presenza nel cibo, anche se non si nota, è indispensabile; viceversa, la sua assenza non passa inosservata e, quindi, non si può nascondere. Come il sale, che agisce negli alimenti in maniera discreta,scioglie nodosi e perdendosi in un gustoso sapore, così ogni cristiano, in umiltà e senza chiasso, deve saper dare sapore nuovo alle cose. Deve far rinascere il gusto e il desiderio di ciò che e’ semplice, di fronte ad un mondo così sofisticato ,che ci propina tante stranezze  comportamentali. Un cristiano che semina gioia, che si pone  quale testimone di onesta’ o portatore di solidarietà; e lo fa senza grandi parole ed ostentazioni, esprime in maniera feconda il suo compito di essere sale della terra. Viceversa, un cristiano che non diventa all’interno di una comunità, vera profezia, pero’ non a parole,ma con le opere, rischia di essere insignificante, del tutto inutile.  E l’ insignificanza  è il pericolo che incombe su molti di noi, spesso sedotti solo dal profetismo delle parole, nel disincanto della vita quotidiana, nella quale più che testimoniare Cristo, preferiamo soltanto metterci in mostra, accaparrarci le prime pagine, dimenticando che Gesù non si è mostrato al mondo in modo spettacolare, ma in tono umile e dimesso. Questa immagine del sale, usata da Gesù per designare i discepoli e la Chiesa, è da Lui completata con quella della luce: ”Voi siete la luce del mondo”. Come Cristo, luce che rischiara il cammino dell’umanità verso Dio, così noi cristiani, suoi seguaci, siamo chiamati a manifestare, con la luce della nostra fede, Dio agli occhi del mondo. E tale annunzio non lo dobbiamo far passare solo attraverso le parole, ma attraverso la testimonianza delle opere:” Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perchè vedano le vostre opere e rendano gloria al Padre che è nei cieli”.le quali rendono visibile nella nostra vita la forza trasformante del Vangelo. Solo davanti a queste opere il mondo saprà vedere la mono di Dio, e leggerà sul volto di chi le compie i tratti del volto di Cristo. Significativo a tale proposito, è il rimprovero che il filosofo tedesco, ateo, il Nietzsche, rivolgeva ai cristiani:” Se la buona novella della vostra Bibbia fosse anche scritta sul vostro volto, voi non avreste bisogno di insistere…… le vostre opere dovrebbero rendere quasi superflua la Bibbia, perché voi stessi dovreste essere la Bibbia viva”. Purtroppo, molto spesso più che essere pagine evangeliche viventi, specchio dell’agire stesso di Dio, siamo soltanto cembali sonori, vibranti per noi stessi e per le nostre esigenze di protagonismo. Ebbene, la testimonianza delle opere è richiamata in maniera energica anche nella prima lettura, ripresa dal libro di Isaia, dove il profeta, lungi da ogni forma di ritualismo, esalta il primato dell’amore: ”spezza il tuo pane con l’affamato, introduci in casa i miseri, senza tetto, vesti chi è ignudo, senza distogliere gli occhi dalla tua gente. Allora la tua luce sorgerà come l’aurora”. Il cristiano che ama concretamente, che si mette dalla parte del bisognoso, risplende davvero come luce; una luce che, squarciando le tenebre dell’errore, rende possibile l’incontro con Dio e con i fratelli. Pertanto, non possiamo continuare ad essere cristiani chiusi in noi stessi, soddisfatti della nostra fede, espressa nella semplice pietà ritualistica.  Dobbiamo essere cristiani per gli altri, al servizio di tutti, non ostentando la nostra magniloquenza persuasiva con una sorta di autocompiacimento, ma seguendo la logica di Cristo Crocifisso, che dalla debolezza della Croce fa scaturire la più grande luce d’amore, che tutti dobbiamo testimoniare con la forza dello Spirito Santo.

Piccolo dio

ete

Finchè non entri nel deserto dell’anima

ove assapori domande e risposte diverse

ove vedi il tempo perdersi nei sussurri

dell’eterno,che danno l’ora dell’arrivo

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Il Parlamento: che vergogna!

parlamento

E’ una sofferenza lacerante assistere alle sceneggiate dei parlamentari, che hanno trasformato le camere in teatri, dove ognuno recita,  servendosi di canovacci artefatti e quasi sempre gia’ in disuso.

Parlano e si muovono come comparse con la voglia di sentirsi protagonisti davanti ai loro protettori politici.Ma non si rendono conto che hanno imbastito solo un coacervo di senza idee, anzi con una sola idea,quella di restare parlamentari, ben sapendo che nessuno ,al di fuori del Parlamento, potrebbe sostenere la loro costosa nullafacenza, se non questa  politica  di compromessi estremi.

Discutono con il solito girotondo di parole incomprensibili, gridano e gesticolano per dare suffragio ai loro morti pensieri, mentre fuori la realtà rivela un intarsio di graffiante povertà.

Ed è  triste,soprattutto se si consideri che all’ avanzare della miseria risponda la loro prosopopea di inutili iniziative o di continui tentativi di raschiare quei pochi risparmi, che ancora resistono alle follie fiscali.

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La Presentazione di Gesù al Tempio

gesù

La liturgia della Parola di questa Domenica pone alla nostra attenzione il racconto della presentazione di Gesù al tempio di Gerusalemme. Un racconto tratto dal Vangelo di Luca.

Ci si trova al cospetto di un fatto storico-teologico, che viene arricchito ed interpretato con figure, riferimenti e citazioni del Vecchio Testamento. Infatti, non si può negare che alla narrazione di oggi, dove leggiamo  che Giuseppe e Maria portano Gesù al tempio, per adempire la duplice prescrizione della legge di Mosè: presentazione del primogenito maschio al Signore e purificazione della madre dopo  40 giorni dal parto, soggiace la storia  del piccolo Samuele, divenuto poi un grande profeta,  presentato dalla madre al sacerdote Eli. (I Sam 1,24-28)

Ebbene,le parole che il Vangelo oggi mette  sulle labbra del vecchio Simeone, simbolo di tanti altri che in Israele aspettavano il Consolatore, la salvezza messianica,  sono il punto fondamentale e centrale del racconto. Esse contengono nella prima parte una proclamazione, nella seconda invece  una profezia.

Premesso che sia Simeone che la profetessa Anna incarnano l’attesa messianica del popolo di Israele, è opportuno sottolineare che nella proclamazione  registriamo l’ esatta valenza del mistero che celebriamo oggi: sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, che aveva rivelato al vecchio Simeone, che non avrebbe visto la morte senza aver visto il Messia, Egli, Simeone, chiama Gesù Salvatore, luce delle genti e gloria di Israele. E dopo aver gustato tra le sue braccia il profumo di Dio, il Messia, Simeone si scioglie in un cantico di profonda tenerezza e di illuminata bellezza:” Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”. Un quadro veramente stupendo, dove due sono i protagonisti: Simeone e il Bambino,una vita che sta per tramontare, un’altra che è  appena fiorita. Sembra vedere la vecchiaia del mondo che accoglie fra le sue braccia l’eterna giovinezza di Dio.

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Domenica III Tempo Ordinario

unitàIl messaggio fondamentale della liturgia della Parola  odierna è dato dal simbolismo della “luce”, che, già domenica scorsa, il profeta Isaia ha annunciato per il servo sofferente di Jahvè:”Io ti renderò luce delle nazioni”. Questa “grande luce” che Dio, attraverso il profeta, promette alle regioni di Zabulou e Neftali, soggiogate dal re dell’Assiria, è Gesù Cristo, il quale viene presentato dall’ evangelista Matteo come Colui che realizza le profezie del Vecchio Testamento.

Infatti, esplicito è il collegamento  quando dice: ”Gesù……venne ad abitare a Cafarnao, presso il mare, nel territorio di Zabulou e di Neftali, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo per profeta Isaia”. Non solo Gesù è identificato in questa “grande luce”, ma anche il suo insegnamento si profila come una “grande luce”, che egli compendia in una sola espressione, carica di attrazione trasformante: ”Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino”. Qui, con forza, senza compromessi, proclama che la regalità di Dio si è fatta vicina all’uomo; e, per mezzo di Lui, Dio è entrato nel tempo, nella storia, per farsi compagno di viaggio dell’uomo; per bussare alla porta del suo cuore, onde elevarlo e trasformarlo in un’esperienza di grazia, di luce e di gioia.

Quella di Dio è una vicinanza che si realizza  sì in Cristo, però esige un cambiamento profondo del cuore e della mente; una trasformazione interiore che diventa disponibilità, apertura. Pertanto, se nel messaggio di Cristo è centrale l’annuncio del regno di Dio, la nostra conversione è la condizione essenziale per entrarvi; se Gesù è la luce che risplende nel mondo, la sua accoglienza richiede che ognuno di noi debba mettersi in un atteggiamento di conversione permanente. Senza dimenticare che la conversione è già frutto del regno, è il segno della sua presenza. Infatti, nella misura in cui si arricchisce la nostra capacità di autotrasformazione, di cambiamento di vita in Cristo, nella stessa misura il regno di Dio si fa più vicino a noi.

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